Il pericolo di utilizzare modi di dire e frasi fatte in un romanzo

Correre più veloce della luce, imprecare come il peggiore dei camionisti, chi si accontenta gode, fare un’eccezione, buttarsi a capofitto: queste sono le frasi che ho letto nelle primissime righe di un libro. Ad un certo punto la mia attenzione è andata scemando, infastidita dalla compresenza di modi di dire e frasi fatte. Il testo ha preso una rincorsa verso la banalità penalizzando una tematica quella amorosa, che già di per sé, appare stantia e abusata.

Mi è dispiaciuto per l’autore, perché da scrittrice so benissimo quanto sia difficile scrivere un romanzo. Ma mi sono anche detta che se proprio aveva piacere di utilizzare dei modi di dire almeno li poteva spargere per tutto il testo, dosare in maniera sapiente.

L’effetto di leggere tante frasi fatte tutte insieme è davvero controproducente. E’ sinonimo di mancanza di proprietà di linguaggio. Le parole utilizzate sono quelle attraverso cui interpreta il mondo che lo circonda. Più sono scontate maggiore sarà la sua povertà di immaginazione. Quali storie inventate potrà mai partorire una mente che decodifica l’ambiente circostante con così pochi strumenti?

L’utilizzo di frasi e parole scontate trasmette a chi legge sciatteria, mancanza di accuratezza nella descrizione di personaggi, oggetti, paesaggi ed emozioni. Presentare l’animo di un essere umano non è per nulla facile, implica una capacità di introspezione nonché la padronanza di strumenti linguistici capaci di rappresentare in maniera certosina l’universo interiore dell’essere umano.

Il mercato delle parole scontate

Quando inizi a scrivere per comunicare prodotti e aziende, tuo malgrado, ti imbatti in una marea di parole scontate e commetti inevitabilmente l’errore di utilizzarle fino a che, un giorno, l’esperienza ti fa sentire più sicuro di te stesso e allora le abbandoni del tutto.

Ribadisco che si tratta di un percorso inevitabile, una sorta di rito di iniziazione per entrare nel mondo del content marketing. Quelle parole ti fanno sentire parte di un gruppo e quindi soprattutto all’inizio ti senti bene ad utilizzarle.

Poi passa il tempo, aumenta l’esperienza e quelle parole a cui eri tanto affezionato ti fanno sentire ingabbiato. Ti rendi conto che non sono del tutto efficaci come ti hanno voluto far credere in precedenza. Ora che ti senti più pronto e consapevole puoi utilizzare altre parole, concederti il lusso di sceglierle, fino a spingerti a crearne di nuove.

In questo modo scrivere non ti sembra più un gioco arido, ma uno strumento prezioso nelle tue mani da gestire con estrema cura e attenzione.

Orlando, il protagonista del mio libro, ‘Orlando e il mercato delle parole scontate’, ha la fortuna di essere istruito da uno spirito guida che gli fa toccare con mano, fin da subito, quanto possa essere deleterio il mercato delle parole scontate.

Noi comuni mortali non abbiamo fantasmi guida ad aiutarci ma possiamo evolverci e utilizzare le parole non come semplici tasselli di un puzzle ma come portatori di significato e valore.

Se vuoi arricchire il tuo vocabolario, scrivi!

Quando ho iniziato a scrivere “Orlando e il mercato delle parole scontate“, ho dovuto fare i conti con il mio vocabolario. E questo, intendo la scrittura, credetemi, è il modo migliore per poter arricchire e scoprire nuove parole. Quando raccontiamo una storia, un episodio o noi stessi abbiamo due scelte: eliminare tutto ciò che ci è difficile spiegare per mancanza di termini con cui descrivere quella determinata sensazione, quel determinato oggetto, oppure sforzarci di apprendere nuovi termini per dare vita a racconti che altrimenti saremmo stati costretti ad omettere.

È vero che tale processo avviene anche attraverso la lettura, ma è la pratica la maestra di vita. Quando scriviamo dobbiamo essere il più precisi possibile se vogliamo dare al nostro lettore modo di capire cosa sta succedendo ai personaggi del nostro libro, dove si trovano, cosa vedono, cosa sentono. Se raccontiamo utilizzando termini troppo generici, ci limitiamo a mostrare uno schizzo, il che va bene come anteprima. Ma poi dobbiamo zoomare l’ambiente dove si trova il nostro protagonista, la sua anima, dobbiamo trasformare quello che era un semplice schizzo in un quadro vero e proprio e in quel quadro posizionare anche il lettore, la distanza a cui vogliamo tenerlo, se vogliamo renderlo semplice spettatore o farlo diventare parte integrante di quel quadro.

Se nello schizzo possiamo limitarci a dire che ci sono degli alberi, quando elaboriamo il quadro dobbiamo specificare se si tratta di un pino, di un frassino ecc… Dobbiamo scavare fino a raschiare per essere sicuri di aver fatto tutto ciò che era in nostro potere e conoscenza per dire ciò che intendevamo raccontare.

Dobbiamo accompagnare attraverso le nostre parole il lettore in un universo che seppur nitido nella nostra mente non è detto che quando lo narriamo, lo sia altrettanto per gli altri.

Nella mia mente so che il mio protagonista è alla prese con uno specifico stato d’animo, ma non so descriverlo, sento insieme a lui, ma non sono capace di renderlo a parole. Da questo nasce l’esigenza di scoprire nuovi vocaboli per rappresentare quella realtà nel modo più esatto possibile.

Non omettiamo ciò che non sappiamo narrare, sforziamoci ad imparare nuovi termini, arricchiamo le nostre anime di nuovi significati.

Chi è Orlando? Vi presento il protagonista

Orlando, il protagonista del mio libro “Orlando e il mercato delle parole scontate” è un ragazzo di provincia il cui sogno è quello di scrivere le frasi della pubblicità. Un’intuizione che ha a 10 anni, mentre guarda uno spot in tv.

Le sue caratteristiche sono sensibilità e determinazione. Vuole fare il mestiere del copy a tutti i costi e non si scoraggia di fronte alle avversità che gli si presentano di volta in volta.

È un ragazzo che trasuda normalità da tutti i pori e forse per questo riesce più facile identificarsi con lui.

La sua natura volitiva lo accompagnerà sempre, dagli esordi ai momenti di gloria, durante il l’allontanamento forzato dal mestiere di copy, fino al momento in cui capisce qual è la sua strada.

In questa era digitale che ci ha abituati a guru del web che si palesano sui social con le loro best performance e i loro successi, Orlando vi mostrerà l’altra faccia della medaglia, fatta di tentativi, insicurezze e fallimenti.

Non solo, Orlando è uno che ci prova fino a quando non trova la sua vera strada, la sua missione personale e per lui questo sarà il successo.

Perché ho scritto un libro?

L’idea del libro “Orlando e il mercato delle parole scontate”, nasce un paio di anni fa, quando avevo l’intenzione di scrivere un ebook dedicato ai copy, in cui parlare delle insidie linguistiche che si presentano sotto forma di canto delle sirene soprattutto quando si è agli esordi.

In quell’ebook c’erano parti “formative” e storie inventate, attraverso le quali rendere meglio il concetto. Facendolo leggere a qualche amico mi sono resa conto che in realtà ciò che piaceva di più erano proprio i racconti. Per cui mi sono detta che forse valeva la pena insistere con il racconto. Ho deciso quindi di abbandonare l’idea dell’ebook formativo e scrivere un testo di narrativa, un romanzo breve, il cui protagonista è Orlando, un aspirante copy che lungo la sua carriera si imbatte in innumerevoli ostacoli e tocca con mano le trappole insite nel mercato delle parole scontate.

Orlando non è un personaggio strong, nei termini in cui siamo abituati a pensarlo oggi. Né fisicamente, né caratterialmente ha la stoffa del leader. Orlando è uno di noi con un grande sogno, quello di diventare copy. E’ soprattutto volitivo. Caratterizzato da tratti a dir poco comici, da grande sensibilità e voglia di farcela, è uno che non molla mai.

Orlando si imbatte in agenzie un po’ strambe, in agenzie famose e in agenzie che fanno il loro lavoro scrupolosamente. Scopre meccanismi esterni ed interni con cui prima o poi qualsiasi copy deve fare i conti. E poi ne esce vincitore. Ma in che modo? Diventando un copy famoso, di successo, come era il suo sogno iniziale? La sua vittoria ancora una volta non è quella canonica, che ci aspetteremmo tutti.

Scrivere questo libro mi ha fatto confrontare con alcuni episodi personali che non potevo non raccontare. E’ stato un po’ faticoso scriverlo perché è capitato in un momento della mia vita in cui tutto è cambiato, in cui sono saltati alcuni punti di riferimento. Credo che questo progetto nasca proprio dal desiderio di rimanere salda, in un momento di grande instabilità. Avevo bisogno di creare dal nulla qualcosa, qualcosa di solo, esclusivamente mio.

Orlando e il mercato della parole scontate

Ogni tanto nella vita bisogna rischiare, smuovere le acque, fare in modo che qualcosa succeda. E così ho deciso che oggi era il gran giorno per pubblicare in autonomia il mio libro “Oralndo e il mercato delle parole scontate.”

Dopo aver passato giorni a rileggere, rieditare, mi sono detta che era arrivato il momento di farlo leggere anche agli altri e che se avessi atteso che amici e parenti, presissimi dalle loro vite, avessero trovato il tempo per farmi la fatidica domanda: “Me lo fai leggere?” avrei corso il rischio di diventare vecchia e decrepita.

La storia di Orlando è un po’ anche mia, è quella di un aspirante copywriter a cui un giorno il destino decide di bussare alla sua porta e di fargli capire che da grande vorrà fare “quello che scrive le frasi della pubblicità”. Da quel giorno Orlando non smette di guardare le pubblicità in tv mentre continua la sua vita normale. Studia, si laurea e poi inizia a cercare lavoro. Riuscirà Orlando a dare retta al destino e realizzare il suo sogno? Lo farà a modo suo trasformando quest’aspirazione in una vera e propria missione, in cui c’entra il mercato delle parole scontate e un fantasma guida.

Si tratta di un libro che può fare da guida ai copywriter esordienti che attraverso le “avventure di Orlando” possono capire come muovere i primi passi nel fantasmagorico mondo del comunicazione.

Il libro Orlando e il mercato delle parole scontate è disponibile in version ebook sul Kindle Store di Amazon.

Buona lettura.

Don’t think only out of the box, think out of your garden

Si parla tanto di pensare al di fuori dello scatolo, nel senso di allenare il proprio pensiero laterale, di cambiare prospettiva, uscire fuori dai canoni e dagli schemi.

A furia di guardare al di fuori dello scatolo abbiamo portato i luoghi comuni e i soliti schemi al suo esterno e ci siamo dimenticati che forse qualcosa di buono andava salvato nello scatolo.

Abbiamo abusato di questo slogan al punto di privare di un suo significato qualcosa che, nella pratica, è difficile da applicare. Molte volte anche quando si è ingenuamente convinti di pensare al di fuori degli schemi precostituiti, dei pregiduzi, non si sta facendo altro che presentare gli stessi sotto una veste diversa.

Prima ancora del think out of box bisognerebbe pensare al di fuori del proprio orticello. Questo sarebbe un primo grande passo per scoprire e guardare il mondo con occhi diversi. Guardare sempre al proprio orticello inaridisce, fa perdere la prospettiva e non rende lungimiranti e soprattutto rende difficile avere una visione di insieme che potrebbe aiutare notevolmente a risolvere problematiche anche serie.

Mi capita spesso vedere persone affrontare problemi importanti perdendosi in stupidi dettagli per la paura di dover difendere a tutti i costi quel poco che si ha. Concentrarsi solo su ciò che si perde non aiuta a vedere cosa si potrebbe guadagnare di più grande rinunciando a qualcosa.

Lo so non sto dicendo nulla di nuovo. Ma per quanto scontato che sia, pensare al proprio orticello, guardarsi il suo, è ancora la legge che muove e regola le relazioni umane siano esse private o lavorative.

Tutto questo sebbene scontato e triste emerge soprattutto in periodi come questo dove l’umanità intera è messa a dura prova.

Sono questi i momenti dove think out of the box e out of your garden diventano fondamentali e chi li ha allenati nel corso degli anni è tra quelli papabili a salvarsi.

 

 

Quando le parole si ammalano, tocca a noi averne cura

Ho iniziato da poco una nuova lettura, sono proprio alle primissime pagine, quindi ve ne parlerò approfonditamente quando l’avrò finita. Si tratta del libro “Parliamoci chiaro” di Daniele Trevisani che spiega il Modello delle quattro distanze attraverso il quale si può mettere in atto una comunicazione efficace e costruttiva.

All’interno della prima pagina ho trovato la citazione del Monaco buddhista vietnamita Thic Nhat Hanh: “le parole possono ammalarsi, dobbiamo disintossicarle e riportarle alla piena salute.”

Questa frase mi ha fatto riflettere in quanto chi fa il mestiere del copy o del blogger o qualsiasi altro mestiere che ha a che fare con le parole, ha sempre a cuore il tema della cura delle parole.

Quando si usano le parole per rappresentare un’azienda, un prodotto, un’idea, per raccontare una storia, la scelta dovrebbe essere sentita come una grande responsabilità. Tutti coloro che lavorano con le parole dovrebbero avere un approccio cauto, come se stessero maneggiando un oggetto fragile. Dovrebbero essere consapevoli che quel determinato aggettivo con cui hanno deciso di connotare un prodotto non è altro che una delle mille sfumature possibili. E che l’affermazione di quel determinato aggettivo, escludendone altri, è quasi un atto di presunzione.

Quando manca il rispetto delle parole, abusiamo di loro, nel significato più drammatico che ci possa essere, ovvero operiamo nei loro confronti una vera e proprio violenza che prima o poi le indurrà a morte certa. Una parola muore ogniqualvolta diventa priva di significato, quando non sortisce più alcun effetto in chi la ascolta ma anche in chi la pronuncia. Le parole sono ciò che ci avvicina agli altri, ciò che accorcia le distanze fisiche e culturali. Ecco perché bisogna saperle utilizzare con cura. E qualora si abbia il sospetto che un atto di violenza venga compiuto dobbiamo adoperarci a dare salute a quella parola e. se moribonda. a darle nuova vita.

Con tutte le parole abusate si potrebbe scrivere un dizionario intero, che risulterebbe pieno di parole e privo di significati, perché quelle parole sarebbero spente, quasi invisibili. L’aziendalese, il politichese, il settore marketing, ogni ambito della vita umana è caratterizzato da un dizionario delle parole abusate. Anche il tuo personale, quotidiano, quello che utilizzi per parlare con i tuoi famigliari, i tuoi colleghi, i tuoi amici, ne è pieno zeppo.

Ognuno di noi dovrebbe indagare sul proprio modo di utilizzare le parole e imparare a gestirle in maniera più opportuna, proprio come si fa con un oggetto di valore, con qualcosa che per noi è di vitale importanza. Le parole sono un nostro potentissimo strumento che ci consente di comunicare al mondo ciò che siamo e allo stesso tempo sono un mezzo di accoglienza che accorcia le distanze.

Diamoci dunque, tutti quanti, questo  grande obiettivo per il nuovo anno: “Impariamo a maneggiare le parole come se fossero diamanti nelle nostre mani.”

Buone feste a tutti