Lo ammetto, quando arriva il momento di scrivere il finale di un articolo, di un racconto, di un romanzo, non ce la faccio proprio.
Rientro nella categoria degli scrittori che non ha bisogno di scrivere schede di personaggi, buttare giù una road map dei contenuti. No, io poggio le mani sulla tastiera e miracolosamente si crea un ponte tra la mia menta e la mia tastiera, per cui fuoriescono dalle mie dita personaggi, trame, articoli sui più disparati argomenti. È un momento catartico, durante il quale riesco a buttare giù l’intero canovaccio della storia, descrivere situazioni, impostare dialoghi, immaginare come inizia e si sviluppa una storia lunga 100 e passa pagine. Ma, verso la fine, l’immaginazione si blocca, il cervello si spegne e c’è solo il buio pesto.
Per quanto riguarda gli articoli con gli anni ho imparato a trovare la quarta, stufa anche di sentirmi dire: “Bello il tuo pezzo, mancano le conclusioni.”
Però devo essere onesta quelle conclusioni non mi piacciono. Una parte di me fa loro una lotta infinita. Perché concludere significa mettere i paletti, non dare possibilità alternative a quanto detto. E la vita si sa non è per niente fatta di conclusioni. Anzi è una continua nascita. Non si arriva mai ad un punto, oppure quando si raggiunge un traguardo siamo lì pronti ad iniziare un nuovo viaggio.
Con i racconti invece è diverso, posso terminare una storia con un finale aperto. Oppure concederselo quando questo fa riferimento a qualcosa che accadrà poi e per questo non è ancora raccontabile.
Del resto anche come lettrice do poca importanza al finale, a volte lo leggo per primo, perché così posso rilassarmi e godermi il viaggio insieme ai protagonisti del libro.
Quando iniziai a lavorare come copy, scrivevo contenuti per una società che gestiva anche un magazine online, al quale davo il mio contributo con delle interviste fatte a personaggi di spicco in ambito hi-tech.
Erano interviste che richiedevano un certo lavoro di ricerca e studio e mi venivano pagate anche bene. Il mio capo non mi metteva fretta, mi concedeva tutto il tempo di cui avevo bisogno.
Capitò un giorno in cui c’era da sostituire il redattore che si occupava delle rubriche musica e gossip. Mi fu chiesto di fare delle interviste ad un cantante del posto abbastanza famoso. Questa volta accadde qualcosa di diverso, dopo un paio d’ore il capo mi chiamò e mi chiese se le domande erano pronte. Quando gli dissi di no lui mi rispose: ” Simona devi gestire meglio il tuo tempo in base al lavoro da svolgere. In questo caso l’intervista che ti abbiamo assegnato non deve richiedere più di un’oretta.”
Imparai la lezione e da quel momento ho messo da parte la mia mania di perfezionismo che in alcuni casi per il cliente è sinonimo di perdita di tempo e l’ho riservata solo a determinati progetti, che richiedono tempo e dedizione.
Ti sei laureato e per caso ti ritrovi ad aprire un blog su un argomento che a te piace, che ne so, sui film distopici. Hai anche una tua nicchia di seguaci per cui decidi che puoi farlo anche a pagamento. E allora ti butti nella mischia e cerchi lavoro come blogger.
Poiché ti piace fare le cose perbene ti iscrivi ad un paio di corsi online sul blogging, inizi a seguire i guru del settore, leggi un centinaio di libri sull’argomento fino a che non arriva il fatidico momento del tuo primo colloquio di lavoro. Fai ingresso in una agenzia di comunicazione o web agency che sia, e la prima volta ti sembra un mondo fantastico.
Al confronto con quelli che lavorano lì da tempo, ti senti un pesce fuor d’acqua. Dal modo di parlare al flusso di lavoro tutto ti sembra strano, diverso. Del resto, tu non hai nessuna esperienza in merito, a parte qualche lettura e qualche corso.
Credimi, se hai veramente qualche lettura sulla materia e qualche corso, sei già a buon punto. In alcune agenzie vige ancora il concetto di creatività salva tutto. Cosa significa? Tutto viene affidato all’estro del momento. Ma più sali il livello, maggiore sarà la richiesta di performance adeguate e solo se hai delle basi potrai fare qualcosa di buono.
In quest’articolo, come avrai già capito , non ti descriverò il meraviglioso mondo del blogging, ma ti parlerò di alcune problematiche in cui puoi incorrere, soprattutto se sei alle prime armi. Di seguito alcune:
1. ambiente di lavoro non orientato alla crescita
2. settore che non è nelle tue corde
3. nuovi tools da imparare
4. lavoro da remoto che non ti consente di avere un confronto con gli altri.
1. All’inizio della tua carriera non hai molta scelta, preso dalla voglia di intraprendere finalmente il percorso lavorativo che sognavi da tempo, puoi imbatterti in esperienze deludenti.
Dopo un po’ ti rendi conto che in quel contesto lavorativo non puoi andare oltre quello che hai fatto fino a quel momento e che non fa più per te.
Ricorda però, che anche esperienze come queste sono fondamentali per la tua crescita professionale, fanno parte della palestra che poi rafforzerà le tue competenze.
2. Agli esordi ogni blogger tende ad acchiappare ogni lavoro che gli viene proposto, poi nel corso del tempo, capisce verso quale settore orientarsi e specializzarsi. Non avere la fretta di sceglierne subito uno. Datti del tempo per fare le valutazioni giuste.
3. L’abilità nella scrittura è la condizione senza la quale non puoi lanciarti nel settore del blogging, ma non basta.
Ci sono alcuni strumenti che devi conoscere abbastanza bene, come del resto in tutti i lavori. Quindi se ti viene richiesta la conoscenza di un determinato tool non ti spaventare. Studialo fino a che non ne sei sufficientemente padrone, così da non precluderti opportunità lavorative.
Inoltre è molto probabile che in ambienti lavorativi come le web agency sia richiesta una partecipazione al flusso di lavoro attraverso alcune app che vengono utilizzate proprio per snellire alcune procedure. Non scoraggiarti! Anche se all’inizio ti sembreranno difficili da utilizzare, una volta capito il meccanismo ti sentirai parte integrante del team.
4. Infine se sei alle prime armi, i lavori più gettonati nell’ambito della comunicazione sono da remoto. Rifiutarli non è contemplato in quanto si deve pur cominciare da qualche parte. Tuttavia non smettere di cercare lavori che prevedono l’inserimento nell’organico dell’agenzia: capire come muoversi in un settore, come intrecciare relazioni è fondamentale. Con il passare degli anni se la tua carriera è stata sempre impostata sul freelancing, ti sentirai sempre un po’ monco, come se ti mancasse qualcosa.
Queste sono solo alcune delle ‘difficoltà’ del blogger alle prime armi. Te ne vengono in mente altre? Scrivile nei commenti!
Orlando, il protagonista del mio libro “Orlando e il mercato delle parole scontate” è un ragazzo di provincia il cui sogno è quello di scrivere le frasi della pubblicità. Un’intuizione che ha a 10 anni, mentre guarda uno spot in tv.
Le sue caratteristiche sono sensibilità e determinazione. Vuole fare il mestiere del copy a tutti i costi e non si scoraggia di fronte alle avversità che gli si presentano di volta in volta.
È un ragazzo che trasuda normalità da tutti i pori e forse per questo riesce più facile identificarsi con lui.
La sua natura volitiva lo accompagnerà sempre, dagli esordi ai momenti di gloria, durante il l’allontanamento forzato dal mestiere di copy, fino al momento in cui capisce qual è la sua strada.
In questa era digitale che ci ha abituati a guru del web che si palesano sui social con le loro best performance e i loro successi, Orlando vi mostrerà l’altra faccia della medaglia, fatta di tentativi, insicurezze e fallimenti.
Non solo, Orlando è uno che ci prova fino a quando non trova la sua vera strada, la sua missione personale e per lui questo sarà il successo.
L’idea del libro “Orlando e il mercato delle parole scontate”, nasce un paio di anni fa, quando avevo l’intenzione di scrivere un ebook dedicato ai copy, in cui parlare delle insidie linguistiche che si presentano sotto forma di canto delle sirene soprattutto quando si è agli esordi.
In quell’ebook c’erano parti “formative” e storie inventate, attraverso le quali rendere meglio il concetto. Facendolo leggere a qualche amico mi sono resa conto che in realtà ciò che piaceva di più erano proprio i racconti. Per cui mi sono detta che forse valeva la pena insistere con il racconto. Ho deciso quindi di abbandonare l’idea dell’ebook formativo e scrivere un testo di narrativa, un romanzo breve, il cui protagonista è Orlando, un aspirante copy che lungo la sua carriera si imbatte in innumerevoli ostacoli e tocca con mano le trappole insite nel mercato delle parole scontate.
Orlando non è un personaggio strong, nei termini in cui siamo abituati a pensarlo oggi. Né fisicamente, né caratterialmente ha la stoffa del leader. Orlando è uno di noi con un grande sogno, quello di diventare copy. E’ soprattutto volitivo. Caratterizzato da tratti a dir poco comici, da grande sensibilità e voglia di farcela, è uno che non molla mai.
Orlando si imbatte in agenzie un po’ strambe, in agenzie famose e in agenzie che fanno il loro lavoro scrupolosamente. Scopre meccanismi esterni ed interni con cui prima o poi qualsiasi copy deve fare i conti. E poi ne esce vincitore. Ma in che modo? Diventando un copy famoso, di successo, come era il suo sogno iniziale? La sua vittoria ancora una volta non è quella canonica, che ci aspetteremmo tutti.
Scrivere questo libro mi ha fatto confrontare con alcuni episodi personali che non potevo non raccontare. E’ stato un po’ faticoso scriverlo perché è capitato in un momento della mia vita in cui tutto è cambiato, in cui sono saltati alcuni punti di riferimento. Credo che questo progetto nasca proprio dal desiderio di rimanere salda, in un momento di grande instabilità. Avevo bisogno di creare dal nulla qualcosa, qualcosa di solo, esclusivamente mio.
Ogni tanto nella vita bisogna rischiare, smuovere le acque, fare in modo che qualcosa succeda. E così ho deciso che oggi era il gran giorno per pubblicare in autonomia il mio libro “Oralndo e il mercato delle parole scontate.”
Dopo aver passato giorni a rileggere, rieditare, mi sono detta che era arrivato il momento di farlo leggere anche agli altri e che se avessi atteso che amici e parenti, presissimi dalle loro vite, avessero trovato il tempo per farmi la fatidica domanda: “Me lo fai leggere?” avrei corso il rischio di diventare vecchia e decrepita.
La storia di Orlando è un po’ anche mia, è quella di un aspirante copywriter a cui un giorno il destino decide di bussare alla sua porta e di fargli capire che da grande vorrà fare “quello che scrive le frasi della pubblicità”. Da quel giorno Orlando non smette di guardare le pubblicità in tv mentre continua la sua vita normale. Studia, si laurea e poi inizia a cercare lavoro. Riuscirà Orlando a dare retta al destino e realizzare il suo sogno? Lo farà a modo suo trasformando quest’aspirazione in una vera e propria missione, in cui c’entra il mercato delle parole scontate e un fantasma guida.
Si tratta di un libro che può fare da guida ai copywriter esordienti che attraverso le “avventure di Orlando” possono capire come muovere i primi passi nel fantasmagorico mondo del comunicazione.
Il libro Orlando e il mercato delle parole scontate è disponibile in version ebook sul Kindle Store di Amazon.
Uscire dalla zona di comfort è ciò che sentiamo almeno una volta al giorno. È uno dei tanti abusi linguistici a cui siamo oramai assuefatti, tant’è che non ci facciamo più caso. Eppure dovremmo invece usarla con parsimonia e rispetto, quel religioso rispetto che mostriamo di fonte a qualcosa che ci intimorisce, perché è davvero più grande di noi. Al solo sentirla dovremmo tremare e lo faremmo davvero se avessimo piena consapevolezza di quello che ci aspetta una volta seguita la volontà di uscire dalla nostra zona di comfort.
E allora perché ci piace tanto questa frase? Molto probabilmente perché il nostro cervello pronto ad ingannarci e a fare resistenza ci fa concentrare sulla parola comfort, mentre quello su cui dovremmo porre la nostra attenzione è il verbo uscire. Il verbo indica l’azione che dovremmo compiere, e in quell’ uscire c’è tutto il sacrificio, il dolore, lo sforzo che tale atto ci richiede.
Chi almeno una volta si è trovato nella situazione di dover uscire dalla propria zona di comfort sa benissimo ciò di cui sto parlando. La prima inevitabile reazione che abbiamo è una strenua resistenza. Siamo abituati a percorrere un tragitto che per quanto tortuoso e sofferente possa essere, è il nostro precorso, quello che abbiamo costruito noi stessi, durante la nostra esistenza, anno dopo anno, mese dopo mese, settimana dopo settima, giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto, secondo dopo secondo. Vi sembra quindi che il suo smantellamento sia qualcosa di semplice? Che possa avvenire con uno schiocco di dita? Suvvia non siate ingenui. Uscire dalla zona di comfort non è una passeggiata. Significa smantellare poco a poco una routine, un modus operandi che fa parte di noi stessi, significa abbattere una parte di noi. Ora vi è più chiaro lo sforzo che comporta? È un percorso costellato di tanti “ma chi me lo ha fatto fare”, di tanti “Stavo così bene prima”. Ma se siete arrivati a pronunciare questa frase, siete già sulla buona strada perché incominciate a riconoscere che nella vostra esistenza c’è un prima e un dopo. E allora uscire dalla zona di comfort cos’è un punto di non ritorno? Certo che no. Siete liberi di ritornare al vostro vecchio percorso ogni volta che lo vorrete. Però vi sembrerà un po’ strano, un po’ desueto. Vi apparirà caldo e accogliente ma tutto sommato sterile. Muovere un primo reale passo per scoprire il mondo che c’è dopo il comfort costa davvero tana fatica. E quando tornerete indietro, perché vi capiterà più di quanto possiate immaginare, avrete la sensazione di tradire voi stessi, quella nuova versione che con estremo sforzo vi state costruendo.
Ma quando arriva il momento di uscire dalla propria zona di comfort? Non c’è un momento preciso, prevedibile. Sarebbe troppo facile. Il più delle volte è la vita che te lo impone, togliendovi tutti i vostri punti di riferimento. E allora per forza ne dovrete/vorrete cercare altri, ricostruirli. Se da una parte è scoraggiante, dall’altra vi offre l’opportunità di crearli dentro di voi quei punti di riferimento, di diventare àncora di voi stessi.
Non è mai facile. Non lo è per niente. Ma se la situazione in cui vi trovate vi chiama al cambiamento non impegnatevi a rifiutarlo, impegnate le vostre energie a creare un nuovo voi stesso. Forse è la strada giusta per la libertà, chi può saperlo?
Il nostro cervello ha due sistemi, il sistema veloce e quello lento. Il sistema veloce è quello più immediato ed istintivo, quello lento invece è quello più razionale. Nella maggior parte dei casi ci piace pensare che le nostre azioni sono frutto del sistema lento, razionale. In questo modo abbiamo la percezione di avere tutto sotto controllo. E invece, nulla più sbagliato. Il nostro cervello agisce in modalità risparmio e quindi per l’80% delle nostre azioni si affida al sistema veloce.
Il sistema veloce entra è quel meccanismo per il quale si può rispondere alla domanda “quanto fa 3 x 3” anche mentre si è impegnati a fare tutt’altro. Quello lento entra in gioco se ad esempio la domanda è “quanto fa 24 x 72”. Come ci accorgiamo che abbiamo messo in moto il sistema lento? Semplice, per dare una risposta dobbiamo interrompere ciò che stiamo facendo. E’ ciò che succede quando dobbiamo parcheggiare l’auto: spegniamo la radio che fino a qualche secondo prima avevamo ad alto volume, per concentrarci meglio sull’azione.
Capire questa differenza è di grande aiuto nella progettazione di ux writing perché ciò che dobbiamo evitare affinché l’utente compia l’azione che desideriamo è che sia costretto ad azionare il sistema lento. Se progettiamo un percorso di testi scritti che può fare ad occhi chiusi, mentre ascolta la radio, o fa altre cose, abbiamo raggiunto un grande obiettivo.
In che modo può agire lo ux writing? E qui entra in gioco il titolo di questo post: “Se è facile da capire è facile da fare.” Ovviamente siamo tutti consapevoli che non è sempre cosi, ma è un inganno del nostro cervello, per cui è propenso a dare fiducia a qualcosa che sia chiaro e lineare e non gli procura sforzo cognitivo ed attribuire a quell’azione percezioni positive.
Immaginiamo ad esempio un form per l’iscrizione ad una newsletter, nello specifico il campo email. Ipotizziamo due possibilità di testo per indicare all’utente la richiesta dell’email:
1. Si necessita l’inserimento del suo l’indirizzo email”
2. Inerisci email
Secondo voi quale delle due frasi mette in moto, a nostro rischio e pericolo, il sistema lento del nostro utente? La prima indubbiamente.
Ecco perché si preferiscono forme attive, frasi brevi. Sovraccaricare un testo di parole, utilizzando forme verbali passive, rende il dialogo con il nostro utente molto più difficoltoso e poiché come abbiamo detto, se è facile da capire è facile da fare, si corre il rischio di perdere la fiducia dell’utente nel buon esito dell’azione a lui richiesta.
Oltre al testo conta anche il font: utilizzare un font che richiede uno sforzo di lettura per comprendere le parole potrebbe far desistere l’utente dal continuare.
Avere cura del modo con cui esponi i tuoi concetti, descrivi i tuoi prodotti, istruisci gli utenti su ciò che devono fare per portare a termini una determinata azione, è fondamentale affinché i tuoi contenuti risultino di facile comprensione e quindi di facile esecuzione.
Orlando tornò a casa nel primo pomeriggio, totalmente adrenalinico. La madre non lo riconosceva, sembrava un invasato mentre raccontava del colloquio, del suo primo progetto a cui aveva lavorato, della soddisfazione di Filippo nel leggere le sue parole, proprio quelle scritte da lui. Raccontò tutto per filo e per segno e quando la madre gli chiese del tipo di inquadramento, dello stipendio lui rispose con tanta pazienza con le stesse parole di Filippo, specificando che ora non era semplicemente uno stagista, ma addirittura il co-fondatore. “La stima che mi sono guadagnato è tale, mamma, che a breve firmerò un contratto di socio co-fondatore, di una grande azienda.” La madre spinta dal tipico istinto ancestrale che appartiene a tutti i genitori, si fece solo promettere dal figlio che avrebbe fatto leggere il contratto al loro commercialista prima di firmarlo e che non avrebbe cacciato soldi di tasca sua. Orlando la guardò con occhi benevoli, e pur di non farla preoccupare acconsentì pensando tra sé e sè: “Non appena i guadagni della mia agenzia saranno corposi, vado a vivere da solo.” Basta, bisognava tagliare quel cordone ombelicale. Oramai aveva 25 anni, doveva lanciarsi nel mondo degli adulti. Dopo aver scaricato l’adrenalina, non gli rimase che attendere la famosa email contenente il contratto. Attese un pomeriggio, una sera e una notte. Dell’email nessuna traccia. L’indomani decise quindi di uscire a fare una passeggiata: aveva bisogno di distrarsi nell’attesa del grande momento. “Del resto si sa, le cose belle arrivano quando meno te l’aspetti.” Dopo la passeggiata decise di portarsi avanti con il lavoro e si mise al pc alla ricerca degli ultimi spot di successo per rieditarli, pratica questa che lo faceva sentire sicuro, lo calmava. Passò nel frattempo un altro pomeriggio, un’altra sera e un’altra notte. Dell’email dalla Big Agency Communication nemmeno l’ombra. Era giunto il weekend e lì smise di aspettare perché sapeva benissimo che di sabato e di domenica non si inviavano contratti. Tuttavia giusto per essere sempre sul pezzo una sbirciatina all’email, un paio di volte, non disdegnò di darla. La domenica gli sembrò interminabile. Aveva esaurito tutti gli amici a cui raccontare della sua grande esperienza lavorativa, e la pratica di riscrivere pubblicità già fatte da altri, gli sembrò all’improvviso un’esercitazione puerile, soprattutto dopo che aveva sperimentato cosa significasse lavorare per davvero. Certo era stato solo un payoff, ma era sempre un buon inizio visto che lo aveva portato a diventare un socio di un’agenzia di comunicazione. Orlando il lunedì seguente era in piedi dalle 6.00 del mattino ed era carico di aspettative. Con la sua tazza di latte caldo tra le mani si immaginava il momento preciso in cui sarebbe arrivata la fatidica email. Di sicuro lo avrebbe colto di sorpresa, come tutte le cose meravigliose. Era una bellissima giornata, il cielo era terso e tutto il cosmo sembrava gridargli che quel giorno sarebbe stato il gran giorno. Dalle 9.00 in punto incominciò a controllare l’email, circa ogni 5 secondi. Si fece così ora di pranzo, e in quell’oretta in cui fu costretto a stare lontano dal pc si sentì decisamente a disagio. Verso le 14.00 con in bocca ancora l’ultimo morso di mela si riposizionò davanti allo schermo e controllò. Incominciò a spazientirsi. Quella maledetta email non ne voleva sapere di arrivare. Eppure Filippo lo aveva lasciato con un sorriso soddisfatto e una stretta di mano. Certo se era andato così bene avrebbe potuto farglielo firmare anche direttamente lì il contratto. E invece no con l’idea di inviarglielo via email aveva dimostrato di avere un grande rispetto nei suoi confronti, dandogli del tempo per leggerlo in tutta tranquillità. Nel frattempo il pomeriggio diventò sera, la sera notte e il lunedì svanì con tutte le sue belle speranze. Martedì ore 6.00 Orlando era nuovamente in piedi e dato che aveva una capacità di autoricaricarsi in positivo, era di nuovo lì in trepidante attesa della fatidica email. La mattina volò via perché nel controllo forsennato dell’email aveva notato un’altra offerta di lavoro interessante e poiché una vocina interiore gli diceva che forse era il caso di guardarsi anche attorno, aveva deciso di inviare il curriculum per candidarsi. Gli era inoltre arrivata la notifica che l’ultimo libro sul copywriting era disponibile in libreria, per cui dopo aver fatto il suo dovere di aspirante copy in cerca di lavoro, decise di ascoltare il richiamo del libro nuovo di zecca. Il pomeriggio ritornò alla sua email, ma più passava il tempo più si rendeva conto che forse aveva mal riposto le sue aspettative nella Big Agency Communication. A mente più lucida, a mano a mano che l’effetto ipnotico di Filippo scemava, rivalutò la location, davvero piccola, e d’un tratto l’adesivo sulla porta d’ingresso gli sembrò estremamente ridicolo. Quando pensò al concetto ‘nomad worker’ riuscì perfino a riderci su. Per cui il mercoledì seguente, la Big Agency Communication era solo un vaghissimo ricordo. Ciò che invece gli era rimasto impresso era l’adrenalina del momento della realizzazione del payoff, quella non l’aveva dimenticata e avrebbe fatto di tutto per farla una costante del suo futuro lavoro, che con grande gioia della madre, non sarebbe stato alla Big Agency Communication.