I vincoli spazio-temporali scatenano il potere narrativo di uno storyteller

#storyteller in 50 secondi? si può!

Qualche giorno fa ero in aeroporto, seduta in prossimità del mio gate, in attesa dell’inizio dell’ imbarco del mio volo.

Di fronte a me c’era un desk per la vendita di carte di credito. Ciò che aveva attirato inizialmente la mia attenzione era la conversazione tra il cliente e il venditore, nello specifico, il fatto che il cliente, nonostante mostrasse una certa ritrosia, non smetteva di complimentarsi con il venditore per la sua professionalità.

Che strano-mi sono detta -il signore non vuole acquistare niente ma non se ne va e continua a dire quanto sia bravo il ragazzo.

Mi sono quindi interessata sempre di più a ciò che si stavano dicendo e quando il venditore, che fino a quel momento si era limitato solo a sorridere e a ringraziare, ha iniziato a parlare ho capito il perché dei complimenti.

Con una naturalezza infinita ha esordito: “Proprio ieri sera ero a cena con un mio amico il quale mi chiedeva un consiglio: un paio di mesi prima aveva noleggiato un’auto e aveva fatto un incidente. I soldi del danno li aveva già pagati, ma stranamente quel giorno gli erano stati nuovamente addebitati. Erano le 11 di sera e io gli ho suggerito: “Chiama ora la banca, vedi come possono aiutarti.” Lui ha chiamato e alle 23.30 la banca gli ha risolto il problema.”

Dopo una pausa di pochi secondi per capire la reazione del suo interlocutore ha continuato: “Le sto dicendo questo perché la nostra banca è aperta h24, 365 giorni l’anno. Se lei ha un problema e si trova all’estero, di smarrimento o furto della sua carta, per averne un’altra, con la sua attuale carta, è costretto ad aspettare giorni. Con la nostra l’intervento è immediato.”

L’interlocutore era oramai ammaliato e anche io ero molto interessata. Alla fine, incuriosita dal personaggio, mi sono avvicinata per complimentarmi e abbiamo iniziato a parlare. Mi ha detto quanto gli piacesse il suo lavoro e di quanto in realtà fosse difficile: ” Pensa che io devo  attirare l’attenzione del suo pubblico, spiegargli il prodotto e convincerlo ad acquistarlo in 50 secondi.”

Solo 50 secondi? Quel numero mi ha davvero fatto riflettere. E pensare che i migliori presentatori TED devono esibirsi in 18 minuti!

Invece lui era riuscito a fare uno storytelling impeccabile in pochi minuti. In maniera inconsapevole ma comunque con grande efficacia.

E allora mi sono detta in effetti un vero storyteller è colui che non si fa spaventare dai vincoli di tempo o di spazio. Anzi riesce a dare il meglio di sé proprio in loro presenza.

Non a caso ci sono dei fantastici storyteller su twitter nonostante il vincolo di caratteri.

Le limitazioni sono la condizione ottimale per far scatenare la nostra fantasia, spiega Matthew May in The Laws of Subtraction.

E anche gli studi recenti confermano che sono le restrizioni a generare il potere della nostra immaginazione.

Ma come si fa a sviluppare una narrazione efficace in pochi minuti?

Ne parlerò nel prossimo articolo. Stay tuned!

 

L’identità narrativa delle aziende, un universo complesso dove Narrazione e Contro Narrazione si fondono

Come mai la sola immagine della marca ad un certo punto non è stata più autosufficiente a rappresentare l’identità di un’azienda è si è dovuto ricorrere alle storie?

La risposta a questa domanda la troviamo nella storia di un marchio famosissimo, la Nike, di cui la maggior parte di voi sarà sicuramente già a conoscenza.

Tuttavia vale la pena raccontarla in quanto è uno degli esempi più calzanti di quel momento di svolta in cui le aziende si sono rese conto che affidare la propria identità ad un semplice logo non era più sufficiente e bisognava ricorrere ad una vera e propria identità narrativa.

La storia della Nike

Tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del 2000 la Nike viene scossa da due eventi:

  1. Numerose inchieste condotte in Asia, Africa e America latina portano all’attenzione dei paesi industrializzati le condizioni di lavoro di chi fabbrica i vestiti e le scarpe del famoso marchio. Si scoprono gli swaetshops, ovvero i laboratori del sudore. “Il movimento antiNike in cui si mostravano i buchi neri della globalizzazione: illuminavano i legami invisibili tra le marche e i loro subappaltatori, tra le agenzie di marketing e le fabbriche clandestine, tra i palloni da calcio ai piedi dei giocatori dei Mondiali del ’98 e le mani dei bambini che li fabbricavano. Sotto lo swoosh della Nike, i sweatshops” (Storytelling La fabbrica delle Storie)
  2. Nel 2003 un gruppo di artisti in aperta contestazione dell’occupazione dello spazio pubblico da parte del marchio Nike, installano un container in Karlsplatz con uno stand che si chiama (Nikeground. Rethinhking Space), informando i cittadini che la piazza era stata comprata dalla Nike e quindi era stata ribattezzata Nikeplatz e che presto sarebbe accaduto lo stesso in tutte le piazze principali d’Europa. “We set up a fake Nike advertisement campaign using a website and a huge hi-tech container we installed in a public square in Vienna. The news went out nationwide: “Karlsplatz, one of Vienna’s main squares, is soon to be renamed Nikeplatz, and a huge monument  in the shape of Nike’s famous Swoosh logo will be built in Nikeplatz”. The campaign provoked the reactions of Vienna’s citizens, city officials and the Nike group, which started legal action. Against all odds we won against the giant.http://0100101110101101.org/nike-ground/

Era chiaro che le ONG  e le rappresentazioni artistiche avevano messo ko il marchio Nike.

Un’identità narrativa della Nike, non a favore del marchio, si era sviluppata al di fuori del marchio stesso, sfuggendo al suo stesso controllo.

La Nike aveva bisogno quindi di una sua identità narrativa, che il semplice logo non era più sufficiente a rappresentare.

Ecco perché si è passati dall’immagine di marca al racconto della marca.

La Nike diede quest’incarico a David Boje, esperto di organizational storytelling e grazie lui, essa ebbe una nuova identità narrativa che era fatta di un impegno forte a cambiare la propria politica del lavoro e per la protezione dell’ambiente.

Il potere della narrazione, come si evince da ciò che abbiamo poc’anzi raccontato, è molto forte, ed è capace di aumentare la percezione del valore dell’oggetto narrato o del suo disvalore.

Nel caso della Nike è chiaro che il racconto di una marca non è solo quello partorito dall’azienda stessa, ma è un universo complesso in cui si fondono narrazione e contro narrazione.

“Le imprese sono organizzazioni narrative, percorse da molteplici racconti, terreno di un dialogo costante tra narrazioni che si oppongono o si completano.” (David M. Boje)