Come evitare di creare personaggi scontati per il tuo primo libro

Questo è un consiglio che do per prima a me stessa, in quanto scrittrice esordiente, ovvero l’estrema cura nel costruire il carattere del/della proprio/a protagonista. I nostri scritti, inutile negarlo, sono anche il risultato di quello che leggiamo. Quindi può capitare, soprattutto all’inizio di creare dei personaggi che somiglino molto ad altri già letti, o a quegli archetipi che fanno parte della tradizione narrativa.

Cosa puoi fare allora? Va benissimo se vuoi raccontare dell’eroe canonico, lo rappresenti ovviamente forte, con dei superpoteri, generoso, con l’unica missione di salvare l’umanità. Va tutto bene. Ciò che occorre però per rendere interessante il tuo protagonista, è quello di inserire un ingrediente personale in quella ricetta, tramandatati dai tuoi avi fino ad oggi. Qual è quest’ingrediente?

È tuo personale, può essere il tuo stile, il contesto in cui collochi il protagonista, una componente caratteriale che stride con la struttura da eroe. A te la scelta. Non avere paura di sperimentare. Ricorda che a volte i migliori piatti sono risultato di errori. Non avere paura di sbagliare.

Se vuoi arricchire il tuo vocabolario, scrivi!

Quando ho iniziato a scrivere “Orlando e il mercato delle parole scontate“, ho dovuto fare i conti con il mio vocabolario. E questo, intendo la scrittura, credetemi, è il modo migliore per poter arricchire e scoprire nuove parole. Quando raccontiamo una storia, un episodio o noi stessi abbiamo due scelte: eliminare tutto ciò che ci è difficile spiegare per mancanza di termini con cui descrivere quella determinata sensazione, quel determinato oggetto, oppure sforzarci di apprendere nuovi termini per dare vita a racconti che altrimenti saremmo stati costretti ad omettere.

È vero che tale processo avviene anche attraverso la lettura, ma è la pratica la maestra di vita. Quando scriviamo dobbiamo essere il più precisi possibile se vogliamo dare al nostro lettore modo di capire cosa sta succedendo ai personaggi del nostro libro, dove si trovano, cosa vedono, cosa sentono. Se raccontiamo utilizzando termini troppo generici, ci limitiamo a mostrare uno schizzo, il che va bene come anteprima. Ma poi dobbiamo zoomare l’ambiente dove si trova il nostro protagonista, la sua anima, dobbiamo trasformare quello che era un semplice schizzo in un quadro vero e proprio e in quel quadro posizionare anche il lettore, la distanza a cui vogliamo tenerlo, se vogliamo renderlo semplice spettatore o farlo diventare parte integrante di quel quadro.

Se nello schizzo possiamo limitarci a dire che ci sono degli alberi, quando elaboriamo il quadro dobbiamo specificare se si tratta di un pino, di un frassino ecc… Dobbiamo scavare fino a raschiare per essere sicuri di aver fatto tutto ciò che era in nostro potere e conoscenza per dire ciò che intendevamo raccontare.

Dobbiamo accompagnare attraverso le nostre parole il lettore in un universo che seppur nitido nella nostra mente non è detto che quando lo narriamo, lo sia altrettanto per gli altri.

Nella mia mente so che il mio protagonista è alla prese con uno specifico stato d’animo, ma non so descriverlo, sento insieme a lui, ma non sono capace di renderlo a parole. Da questo nasce l’esigenza di scoprire nuovi vocaboli per rappresentare quella realtà nel modo più esatto possibile.

Non omettiamo ciò che non sappiamo narrare, sforziamoci ad imparare nuovi termini, arricchiamo le nostre anime di nuovi significati.

La sensibilità e la scrittura

Per ogni mestiere afferente alla scrittura c’è una procedura ben precisa da seguire. Sei un blogger e prima di mettere nero su bianco devi tenere conto delle parole chiave, immaginare il tuo post diviso in sezioni, con una parte introduttiva in cui spieghi il contenuto principale, una parte centrale dove approfondisci e una parte finale in cui concludi. Ecco quindi che ti ritrovi a seguire uno schema ben preciso, da cui non scappi.

Ogni testo scritto per un sito web, per un’email, per un blog ha delle regole da rispettare.

Se poi sei uno scrittore e il testo che vuoi scrivere è un romanzo, allora le regole da seguire sono più o meno queste: prima di mettere nero su bianco hai bisogno di creare una serie di schede in cui parli della trama, di ogni singolo personaggio, delle azioni principali e via discorrendo.

Tutto questo è come se costruissi una piccola o grande casa di cui definisci ogni piccolo dettaglio. Ed è affascinante per alcune categorie di persone. Sottolineo la parola “persona”, perché prima della professione viene la persona e ci sono persone che hanno bisogno di schemi e procedure perché così sanno gestire il proprio lavoro con più facilità; e persone che hanno difficoltà a realizzare un progetto scritto affidandosi a queste regole.

Il giusto compromesso è quello di studiare schemi, procedure e regole per poi sfruttarle per rendere al meglio un proprio scritto e non diventarne succubi, con il rischio di sentirsi ingabbiati.

Molto del nostro modo di scrivere dipende dalla sensibilità. Ed è una scoperta che ho fatto da poco. Le persone con una spiccata sensibilità non hanno molta dimestichezza con le schematizzazioni, perché hanno una visione d’insieme tale che, quando iniziano a scrivere sanno già dove vogliono andare a parare, senza dover ricorrere a strumenti esterni.

Attenzione non sto esprimendo un giudizio su quale delle due modalità di scrittura sia quella giusta. Come al solito la cosa importante è che funzioni. Non sto nemmeno sposando la tesi che si possono ignorare regole e le procedure, ma sto solo dando una pacca di conforto sulla spalla a chi, come me, non ci si trova proprio a scrivere seguendo schemi preimpostati.

Se si ha la visione d’insieme e istintivamente si sa dove andare a parare, beh allora si può provare a realizzare un progetto scritto e non semtirsi da meno rispetto agli altri.

Molto dipende dalla sensibilità, che ci induce a ragionare con la pancia, per cui quando quest’ultima si mette in moto, siamo sicuri che stiamo creando qualcosa di buono. Le persone con una spiccata sensibilità hanno come strumenti l’istinto e l’estrema reattività al mondo che le circonda. E quando qualcosa mette in moto questi fattori non c’è schema che tenga. Perché scatterà in loro qualcosa che le spingerà a scavare fino a quando non saranno del tutto appagate, a leggere più libri contemporaneamente pur di essere padrone dell’argomento. E solo allora produrranno il loro testo, sicure di aver fatto del loro meglio.

Sono secchione in un modo quasi ossessivo compulsivo, seguono uno schema bulimico, incamerano quante più informazioni possono su un determinato argomento, per poi rigettarle sotto forma di uno scritto personalissimo, perché tutto ciò che hanno appreso, lo hanno interiorizzato.

È un metodo un po’ strong ma non conoscono le mezze misure e non sono per le cose semplici. Devono fare i conti con il loro senso di inadeguatezza costante e per questo sono sempre in continua sfida con loro stessi, per produrre qualcosa di elevato.

Orlando, l’eroe inconsapevole

Ci sono personaggi che sanno di essere eroi e si muovono nella storia in modo sicuro, spavaldo, derminato. Sono esseri dotati di grande fascino e per questo non hanno bisogno di convincere il lettore. Il lettore vede in loro la luce, il riscatto, qualcuno con il quale sicuramente è difficile identificarsi, ma dietro il quale è facile andare, sicuri di essere protetti sempre.

Orlando, il protagonista del mio libro “Orlando e il mercato delle parole scontate“, non vuole essere un eroe, vuole semplicemente lavorare come copywriter in una grande agenzia pubblicitaria. Lo diventa nel corso della narrazione? Forse si, dipende dai punti di vista del lettore. Se il lettore condivide la sua idea di successo, e la sua missione, può riconoscere in lui i tratti di un eroe inconsapevole, se invece non ha la sua stessa visione, gli sembrerà qualcuno che cerca di trovare la sua strada nella vita. Uno come tanti altri.

Orlando eroe o non eroe? Per me Orlando è una persona fortunata, perché scopre la missione della sua vita, quello per cui vale la pena vivere e lavorare. E oggi non è facile. Si parla tanto di far diventare la propria passione un lavoro, ma alla fine chi ci riesce veramente? Sono davvero in pochi. E quindi in questo c’è un non so che di eorico. Perché percorrere una nuova strada abbandonando la vecchia, creare nuovi punti di riferimento pur di inseguire il fuoco che ci arde dentro, è indubbiamente un’impresa avvincente, temeraria, a tratti anche azzardata.

La missione di Orlando consiste nel salvare le parole dall’abuso. E la scopre attraverso il copywriting. La vita però si sa non è lineare e questo vale anche per il mio protagonista. Non sempre infatti può portare a termine questo compito. È un impegno molto difficile, complicato e che riesce a portare avanti in modo intermittente.

Ma lui non demorde e quando la vita gli consente di ritornare alla sua missione non si tira mai indietro e si lancia nei vari progetti con entusiasmo e determinazione.

Sono troppo sintetica per scrivere un romanzo e invece…

Quando ho iniziato a scrivere ‘Orlando e il mercato delle parole scontate“, nell’arco di un mese ho buttato giù circa 50 pagine. E per una come me, che ha il dono della sintesi, era davvero un bel traguardo. Pensavo di aver fatto tutto quello che era in mio potere ma quando l’ho fatto leggere a qualche amico, sono iniziate le critiche.

Il personaggio piaceva e proprio per questo il lettore era avido di dettagli sulla sua vita. C’erano capitoli in cui la descrizione dei fatti era stata così puntuale da portarlo ad identificarsi con ciò che stava accadendo. In altri invece era tutto ridotto all’osso e lasciava il lettore affamato.

Mi chiedevano spesso che colore avessero i suoi capelli, come fosse fisicamente. E tante altre minuzie che avevo tralasciato. E non perché non le sapessi ma, al contrario, ero talmente presa dal mio personaggio, da dimenticare di mostrarlo anche al lettore.

Allora ho ripreso la mia opera che per me era compiuta e ho iniziato a rivedere quelle parti in cui ero stata troppo sintetica. Non dovevo riassumere ma raccontare. E allora con uno sforzo sovrumano ho iniziato ad immaginare la scena. Dove si trova il mio protagonista? Cosa vede attorno a sé? Che relazione ha con quello che vede e quali emozioni gli trasmette? Sono stata a pensare pomeriggi interi, ad ipotizzare scenari plausibili per me e per il lettore. Fino a che non si è sbloccato qualcosa nella mia mente, attingendo alla realtà e alla fantasia e ho saputo dove avrei collocato il mio protagonista e cosa gli avrei fatto vedere, fare, toccare, percepire.

Orlando e il mercato delle parole scontate il libro per i copy alle prime armi.

Chi è Orlando? Vi presento il protagonista

Orlando, il protagonista del mio libro “Orlando e il mercato delle parole scontate” è un ragazzo di provincia il cui sogno è quello di scrivere le frasi della pubblicità. Un’intuizione che ha a 10 anni, mentre guarda uno spot in tv.

Le sue caratteristiche sono sensibilità e determinazione. Vuole fare il mestiere del copy a tutti i costi e non si scoraggia di fronte alle avversità che gli si presentano di volta in volta.

È un ragazzo che trasuda normalità da tutti i pori e forse per questo riesce più facile identificarsi con lui.

La sua natura volitiva lo accompagnerà sempre, dagli esordi ai momenti di gloria, durante il l’allontanamento forzato dal mestiere di copy, fino al momento in cui capisce qual è la sua strada.

In questa era digitale che ci ha abituati a guru del web che si palesano sui social con le loro best performance e i loro successi, Orlando vi mostrerà l’altra faccia della medaglia, fatta di tentativi, insicurezze e fallimenti.

Non solo, Orlando è uno che ci prova fino a quando non trova la sua vera strada, la sua missione personale e per lui questo sarà il successo.

Perché ho scritto un libro?

L’idea del libro “Orlando e il mercato delle parole scontate”, nasce un paio di anni fa, quando avevo l’intenzione di scrivere un ebook dedicato ai copy, in cui parlare delle insidie linguistiche che si presentano sotto forma di canto delle sirene soprattutto quando si è agli esordi.

In quell’ebook c’erano parti “formative” e storie inventate, attraverso le quali rendere meglio il concetto. Facendolo leggere a qualche amico mi sono resa conto che in realtà ciò che piaceva di più erano proprio i racconti. Per cui mi sono detta che forse valeva la pena insistere con il racconto. Ho deciso quindi di abbandonare l’idea dell’ebook formativo e scrivere un testo di narrativa, un romanzo breve, il cui protagonista è Orlando, un aspirante copy che lungo la sua carriera si imbatte in innumerevoli ostacoli e tocca con mano le trappole insite nel mercato delle parole scontate.

Orlando non è un personaggio strong, nei termini in cui siamo abituati a pensarlo oggi. Né fisicamente, né caratterialmente ha la stoffa del leader. Orlando è uno di noi con un grande sogno, quello di diventare copy. E’ soprattutto volitivo. Caratterizzato da tratti a dir poco comici, da grande sensibilità e voglia di farcela, è uno che non molla mai.

Orlando si imbatte in agenzie un po’ strambe, in agenzie famose e in agenzie che fanno il loro lavoro scrupolosamente. Scopre meccanismi esterni ed interni con cui prima o poi qualsiasi copy deve fare i conti. E poi ne esce vincitore. Ma in che modo? Diventando un copy famoso, di successo, come era il suo sogno iniziale? La sua vittoria ancora una volta non è quella canonica, che ci aspetteremmo tutti.

Scrivere questo libro mi ha fatto confrontare con alcuni episodi personali che non potevo non raccontare. E’ stato un po’ faticoso scriverlo perché è capitato in un momento della mia vita in cui tutto è cambiato, in cui sono saltati alcuni punti di riferimento. Credo che questo progetto nasca proprio dal desiderio di rimanere salda, in un momento di grande instabilità. Avevo bisogno di creare dal nulla qualcosa, qualcosa di solo, esclusivamente mio.

Uscire dalla zona di comfort

Uscire dalla zona di comfort è ciò che sentiamo almeno una volta al giorno.  È uno dei tanti abusi linguistici a cui siamo oramai assuefatti, tant’è che non ci facciamo più caso. Eppure dovremmo invece usarla con parsimonia e rispetto, quel religioso rispetto che mostriamo di fonte a qualcosa che ci intimorisce, perché è davvero più grande di noi. Al solo sentirla dovremmo tremare e lo faremmo davvero se avessimo piena consapevolezza di quello che ci aspetta una volta seguita la volontà di uscire dalla nostra zona di comfort.

E allora perché ci piace tanto questa frase? Molto probabilmente perché il nostro cervello pronto ad ingannarci e a fare resistenza ci fa concentrare sulla parola comfort, mentre quello su cui dovremmo porre la nostra attenzione è il verbo uscire. Il verbo indica l’azione che dovremmo compiere, e in quell’ uscire c’è tutto il sacrificio, il dolore, lo sforzo che tale atto ci richiede.

Chi almeno una volta si è trovato nella situazione di dover uscire dalla propria zona di comfort sa benissimo ciò di cui sto parlando.  La prima inevitabile reazione che abbiamo è una strenua resistenza. Siamo abituati a percorrere un tragitto che per quanto tortuoso e sofferente possa essere, è il nostro precorso, quello che abbiamo costruito noi stessi, durante la nostra esistenza, anno dopo anno, mese dopo mese, settimana dopo settima, giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto, secondo dopo secondo. Vi sembra quindi che il suo smantellamento sia qualcosa di semplice? Che possa avvenire con uno schiocco di dita? Suvvia non siate ingenui. Uscire dalla zona di comfort non è una passeggiata. Significa smantellare poco a poco una routine, un modus operandi che fa parte di noi stessi, significa abbattere una parte di noi.  Ora vi è più chiaro lo sforzo che comporta? È un percorso costellato di tanti “ma chi me lo ha fatto fare”, di tanti “Stavo così bene prima”. Ma se siete arrivati a pronunciare questa frase, siete già sulla buona strada perché incominciate a riconoscere che nella vostra esistenza c’è un prima e un dopo. E allora uscire dalla zona di comfort cos’è un punto di non ritorno? Certo che no. Siete liberi di ritornare al vostro vecchio percorso ogni volta che lo vorrete. Però vi sembrerà un po’ strano, un po’ desueto.  Vi apparirà caldo e accogliente ma tutto sommato sterile. Muovere un primo reale passo per scoprire il mondo che c’è dopo il comfort costa davvero tana fatica. E quando tornerete indietro, perché vi capiterà più di quanto possiate immaginare, avrete la sensazione di tradire voi stessi, quella nuova versione che con estremo sforzo vi state costruendo.

Ma quando arriva il momento di uscire dalla propria zona di comfort? Non c’è un momento preciso, prevedibile. Sarebbe troppo facile. Il più delle volte è la vita che te lo impone, togliendovi tutti i vostri punti di riferimento. E allora per forza ne dovrete/vorrete cercare altri, ricostruirli. Se da una parte è scoraggiante, dall’altra vi offre l’opportunità di crearli dentro di voi quei punti di riferimento, di diventare àncora di voi stessi.

Non è mai facile. Non lo è per niente. Ma se la situazione in cui vi trovate vi chiama al cambiamento non impegnatevi a rifiutarlo, impegnate le vostre energie a creare un nuovo voi stesso. Forse è la strada giusta per la libertà, chi può saperlo?

Convincere, accattivare, attirare: sono sufficienti a raccontare l’efficacia del contenuto?

Oggi leggendo un post di Instagram sull’efficacia dei contenuti mi sono imbattuta più volte nel verbo “convincere”.  Parole quali “convincere”, “attrarre”, “persuadere”, “accattivare”, sebbene considerate solo nella loro accezione positiva, sono ancora mancanti di qualcosa per poter pienamente esprimere ciò che intendiamo.

Siamo passati, e  questo è noto anche ai bambini, da un marketing belligerante, che utilizzava termini quali “target”, “colpire”, ad un marketing che potremmo definire della seduzione, quello che ti fa l’occhiolino, che cerca di presentare il prodotto nel suo aspetto più bello, che con le parole cerca di ammaliarti fino a convincerti che lui e solo lui fa al caso tuo.

Attrarre, persuadere, convincere, mi danno la sensazione di essere vicini a ciò che vorrebbero dire, ma di non riuscire a renderlo appieno. Di sicuro tra gli esperti del settore questi termini sono sostituiti da altri più consoni, ma nella maggior parte dei casi, sui profili social di chi si occupa di content marketing essi trovano ancora largo utilizzo.

Forse fino ad ora il mio discorso non è stato proprio chiarissimo. Cercherò di spiegarmi. Siamo tutti d’accordo sull’importanza del contenuto nel marketing, giusto? Siamo d’accordo che senza di esso le aziende non venderebbero più, giusto? Ma questa potenza del contenuto come la raccontiamo? Che tipo di storytelling creiamo per far capire agli altri l’efficacia del contenuto?

Con le seguenti parole: “Il contenuto, attraverso leve persuasive, ha l’obbiettivo di convincere il lettore all’acquisto di un prodotto/servizio”. Lo abbiamo definito in poche parole come la scia di un profumo che determina la sensualità di una donna e fa girare gli uomini a guardarla, o come un reggicalze a malapena celato da una gonna troppo corta che attrae  il maschio alfa. Per dirla più terra terra: c’è il prodotto che da solo non ce la fa a posizionarsi, e allora noi con il contenuto gli diamo una bottarella  affinché il cliente si convinca che acquistarlo è una cosa buona.

Questo è quello che effettivamente comunichiamo, quando parliamo di efficacia di un contenuto per vendere un prodotto/servizio. Ma nella realtà cosa vorremmo davvero comunicare? Il contenuto non convince, non attrae, non persuade, il contenuto è lo strumento attraverso il quale l’azienda crea un legame fortissimo con il cliente, in quanto compie tre azioni fondamentali:

  • informa
  • educa
  • intrattiene

Informare il cliente dei possibili benefici che ne trae acquistando un prodotto, educarlo all’utilizzo di quel prodotto per trarne il massimo vantaggio, intrattenerlo affinché ricordi l’esperienza come entusiasmante: tutto questo non può essere ridotto ad uno storytelling della seduzione, che si basa sul convincimento e sull’attrazione.

Se vogliamo esprimere a pieno l’efficacia del contenuto adottiamo termini che rendano meglio tutto quello che effettivamente fa il contenuto:  ascoltare i bisogni dei clienti, informarli su possibili soluzioni, educarli su come possono utilizzare al meglio un prodotto/servizio, aiutarli a fare la scelta giusta, intrattenerli per rendere la loro esperienza di acquisto la più soddisfacente possibile.

E questo se ci soffermiamo ad analizzare solo una parte del contenuto, quello del blog ad esempio, o dei testi di un sito o della descrizione del prodotto. Poi c’è il contenuto che funge da guida per l’utente che approda su un sito, caratterizzato dai microtesti, piccole porzioni di testo in grado di facilitare la navigazione di un sito all’utente permettendogli di raggiungere il proprio obiettivo, sia esso compilare l’iscrizione ad una newsletter, effettuare il download di un ebook, completare l’acquisto.

Vista così la seduzione è solo una piccolissima parte dell’efficacia del contenuto e sta tutta nella scelte delle parole utilizzate, del tone of voice, del modo in cui decidi di parlare ai tuoi clienti, ai tuoi utenti. Ma non è solo questo, è qualcosa di più complesso che mira a creare rapporti solidi e non relazioni da una notte e via, per intenderci :-))