Vuoi diventare blogger? Ecco alcuni consigli utili

Ti sei laureato e per caso ti ritrovi ad aprire un blog su un argomento che a te piace, che ne so, sui film distopici. Hai anche una tua nicchia di seguaci per cui decidi che puoi farlo anche a pagamento. E allora ti butti nella mischia e cerchi lavoro come blogger. 

Poiché ti piace fare le cose perbene ti iscrivi ad un paio di corsi online sul blogging, inizi a seguire i guru del settore, leggi un centinaio di libri sull’argomento fino a che non arriva il fatidico momento del tuo primo colloquio di lavoro.  Fai ingresso in una agenzia di comunicazione o web agency che sia, e la prima volta ti sembra un mondo fantastico. 

Al confronto con quelli che lavorano lì da tempo, ti senti un pesce fuor d’acqua. Dal modo di parlare al flusso di lavoro tutto ti sembra strano, diverso. Del resto, tu non hai nessuna esperienza in merito, a parte qualche lettura e qualche corso.

Credimi, se hai veramente qualche lettura sulla materia e qualche corso, sei già a buon punto. In alcune agenzie vige ancora il concetto di creatività salva tutto. Cosa significa? Tutto viene affidato all’estro del momento. Ma più sali il livello, maggiore sarà la richiesta di performance adeguate e solo se hai delle basi potrai fare qualcosa di buono.

In quest’articolo, come avrai già capito , non ti descriverò il meraviglioso mondo del blogging, ma ti parlerò di alcune problematiche in cui puoi incorrere, soprattutto se sei alle prime armi. Di seguito alcune:

1. ambiente di lavoro non orientato alla crescita 

2. settore che non è nelle tue corde

3. nuovi tools da imparare

4. lavoro da remoto che non ti consente di avere un confronto con gli altri.

1. All’inizio della tua carriera non hai molta scelta, preso dalla voglia di intraprendere finalmente il percorso lavorativo che sognavi da tempo, puoi imbatterti in esperienze deludenti. 

Dopo un po’ ti rendi conto che in quel contesto lavorativo non puoi andare oltre quello che hai fatto fino a quel momento e che non fa più per te.

Ricorda però, che anche esperienze come queste sono fondamentali per la tua crescita professionale, fanno parte della palestra che poi rafforzerà le tue competenze.

2. Agli esordi ogni blogger tende ad acchiappare ogni lavoro che gli viene proposto, poi nel corso del tempo, capisce verso quale settore orientarsi e specializzarsi. Non avere la fretta di sceglierne subito uno. Datti del tempo per fare le valutazioni giuste.

3. L’abilità nella scrittura è la condizione senza la quale non puoi lanciarti nel settore del blogging, ma non basta.

Ci sono alcuni strumenti che devi conoscere abbastanza bene, come del resto in tutti i lavori. Quindi se ti viene richiesta la conoscenza di un determinato tool non ti spaventare. Studialo fino a che non ne sei sufficientemente padrone, così da non precluderti  opportunità lavorative.

Inoltre è molto probabile che in ambienti lavorativi  come le web agency sia richiesta una partecipazione al flusso di lavoro attraverso alcune app che vengono utilizzate proprio per snellire alcune procedure. Non scoraggiarti!  Anche se all’inizio ti sembreranno difficili da utilizzare, una volta capito il meccanismo ti sentirai parte integrante del team.

4. Infine se sei alle prime armi, i lavori più gettonati nell’ambito della comunicazione sono da remoto.  Rifiutarli non è contemplato in quanto si deve pur cominciare da qualche parte. Tuttavia non smettere di cercare lavori che prevedono  l’inserimento nell’organico dell’agenzia: capire come muoversi in un settore, come intrecciare relazioni è fondamentale. Con il passare degli anni se la tua carriera è stata sempre impostata sul freelancing, ti sentirai sempre un po’ monco, come se ti mancasse qualcosa.

Queste sono solo alcune delle ‘difficoltà’ del blogger alle prime armi. Te ne vengono in mente altre? Scrivile nei commenti!

Come gestire al meglio la formazione aziendale

Di recente ho frequentato dei corsi di formazione e di tanto in tanto mi capita di formare alcuni colleghi su app o software. Entrambe le esperienze come formatore e come alunna mi hanno spinta ad alcune riflessioni su come potrebbe essere gestita al meglio una classe durante la formazione aziendale.

Innanzitutto va fatta una premessa: la classe che ti accingi a formare è lo specchio dell’azienda stessa. Ne rappresenta lo stato di salute. Durante un corso è possibile che emergano quindi conflitti, sentimenti di rancore, polemiche o, in caso positivo, alto coinvolgimento da parte dei partecipanti, interessamento alla materia.

L’attenzione alla platea di partecipanti quindi è per te fondamentale. La classe può inoltre celare delle sorprese, come ad esempio qualcuno che ha una formazione personale sulla materia del tuo corso. Queste persone non vanno viste come minacce ma vanno coinvolte subito per aumentare il coinvolgimento dell’intera classe.

Durante la formazione aziendale è difficile  che tutti partecipanti siano attivi e motivati.

Tra i partecipanti ci sarà chi pensa che il tuo corso non serva a molto e lo dimostra in maniera  palese. C’è chi invece è interessato e lo troverai estremamente coinvolto. Ancora più difficile se all’interno del tuo corso ti troverai persone appartenenti a ruoli gerarchicamente diversi, capo e sottoposto, ad esempio. Percepirai una tensione che difficilmente riuscirai a spezzare.

Cosa fare per affrontare una platea così eterogenea? Di seguito alcuni tips che credo siano utili:

1. Resta concentrato sul corso

La gestione degli off topic è nelle tue mani e non in quelle della classe. Puoi consentirli nella misura in cui sono in qualche modo pertinenti con l’argomento e se sono di durata breve.

2. Accetta il dissenso e sfruttalo a tuo vantaggio

Il consenso adula, ma è sul dissenso che devi lavorare maggiormente. Innanzitutto perché saranno più i casi in cui ti troverai di fronte ad una classe disinteressata rispetto a quelli in cui avrai partecipanti attivi. Ricorda però, che coinvolgere una persona inizialmente restia, ti costerà più fatica, ma poi produrrà un clima energico in tutta la classe.

3. Ammetti la tua ignoranza e chiedi conferma

Se ti trovi a fare formazione in un settore che conosci poco, prima di azzardarti a fare esempi pertinenti, chiedi se sono giusti. In questo modo aumenterai il grado di coinvolgimento della tua classe.

4. Alimenta il dibattito, frena la discussione

La condivisione di opinioni, esperienze in merito all’argomento da te trattato può essere un buon segnale. Vuol dire la platea è interessata all’argomento. Fai attenzione però a non far degenerare un tranquillo confronto in una rovente discussione.

5. Non usare termini tecnici

I termini tecnici quando sono ristretti ad una nicchia possono risultare di difficile comprensione e porre distanze tra te e i partecipanti, creando un clima freddo e distaccato. Usali proprio quando non ne puoi fare a meno.

6. Accogli i suggerimenti

Le persone durante l’apprendimento di una nuova materia, se motivate, fanno domande che possono aiutarti a migliorare il corso. Non sottovalutarle. Anzi prendile come utili suggerimenti.

7. Mostrati appassionato

Quando fai formazione c’è un elemento che fa una grande differenza: la passione. Quando trasmetti passione puoi essere sicuro di aver trasferito la cosa più importante. Gli approfondimenti possono essere anche eseguiti per conto proprio. La condivisione della passione non ha prezzo.

8. Sii accogliente e mai superiore

Ciò che mette un freno alla riuscita di un corso è proprio il tuo atteggiamento. Se ti mostri superiore, se pensi che la tua classe debba seguirti senza indugi certo di fornirle tutte le informazioni di cui hai bisogno, sei sulla strada sbagliata. È importante mostrarsi aperto alle domande anche a quelle più stupide, utilizzare un linguaggio semplice. In questo modo i partecipanti non si sentiranno a disagio e non percepiranno distanze.

9. Fai esempi concreti

Per rompere il ghiaccio e per rendere la materia del tuo corso meno ostica, riportala, se ti è possibile, alla realtà aziendale che stai formando. Fare esempi pratici di utilizzo di ciò che stai insegnando aiuterà la classe a capire subito in che modo quello che sta apprendendo potrà esserle utile durante le ore di lavoro.

Conclusioni

Formare realtà aziendali non è un gioco da ragazzi, ma si possono ottenere grandi risultati con un approccio che tiene conto dei partecipanti e delle loro esigenze.

 

 

 

 

Automotivazione e Intrapredenza, le soft skills di cui non si può fare a meno

Leggendo qua e là sulle competenze trasversali, ho imparato qualcosa che mi ha fatto davvero “emozionare” e che condivido a pieno: automotivazione e intraprendenza fanno pare delle soft skills. Come mai sono tanto emozionata? Perché le ho entrambe! Faccio fatica ad essere empatica, non avrò tutta questa leadership e capacità di impormi, ma quando mi devo reinventare non c’è nessuno che mi possa fermare. In realtà funziona più o meno così, personalmente: quando qualcuno mi dà un due di picche, mi blocca un progetto, mi dà il benservito, scatta qualcosa in me, una sorta di furia, che mi fa leggere, studiare, approfondire; la mente va a mille, l’adrenalina sale e io mi butto a capofitto in un altro progetto. Non mi abbatto. Non mi piango addosso, ma cerco l’alternativa. Io sono tra quelli che amano il piano b, la soluzione a cui non avresti mai pensato, ma che ti scatta nel cervello nel momento in cui il piano A fallisce.

Dunque riprendendo il discorso sulle soft skills, automotivazione e intraprendenza sono tra le competenze trasversali su cui puoi contare se vuoi adeguarti al nuovo mercato del lavoro che è “dinamico” e in continuo cambiamento. Anche il posto fisso è diventato mobile, ha cambiato natura. Ogni tipo di lavoro sta subendo una grande trasformazione digitale per cui concepire il posto fisso alla vecchia maniera è oramai obsoleto e controproducente.

Prima di parlare di automotivazione e intraprendenza voglio fare un piccolo appunto ai testi che parlano delle soft skills: sembra che esse siano di pertinenza solo di un certo livello impiegatizio, ovvero quello manageriale che prevede la gestione di sottoposti e potere decisionale. Nell’evoluzione lavorativa che molti “subiscono”, esse sono indispensabili anche a livelli più bassi di quelli manageriali le soft skills se si vuole sopravvivere a dinamiche lavorative nuove e sfidanti.

Dall’operaio all’impiegato di 4 livello l’evoluzione digitale ha imposto un mettersi in gioco quotidiano, un saper utilizzare strumenti nuovi, che possono in qualche modo richiedere un’attenzione, uno studio, un impegno diverso da quello preteso fino ad ora. Ecco che avere la capacità di automotivarsi mista ad una sana intraprendenza consente ai lavoratori di non subire il mondo del lavoro ma in qualche modo di farne parte in maniera attiva.

Nel caso dell’auto motivazione ho trovato interessante la definizione di locus of control, ovvero il centro di controllo, quello che secondo la divisione ideale di Rotter dei lavoratori, può essere interno o esterno. Il lavoratore che ha il locus of control interno riesce ad automotivarsi sul lavoro ed è fortemente convinto che attraverso l’impegno e gli sforzi può arrivare a determinati obiettivi. Lui è la causa dei suoi successi lavorativi o dei suoi insuccessi. Nel caso del Locus of Control esterno, il lavoratore non si impegna più di tanto perché parte dalla convinzione che sono i fattori esterni a determinare il raggiungimento o meno di obiettivi.

Entrambi sono delle visioni estremizzate, ma ovviamente chi è dotato di automotivazione si avvicina molto all’ideale di lavoratore con un locus of control interno. L’avvertimento che si può dare a queste persone è di gestire meglio l’insuccesso, non viverlo come un fallimento ma come una lezione da cui imparare e fare meglio.

L’altra soft skill che trovo fantastica e va a braccetto con l’automotivazione è l’intraprendenza. Questa però non l’ho letta, l’ho sentita in un video di Marco Montemagno: il sapersi mettere in gioco, anche all’interno della stessa azienda. Puoi infatti essere un lavoratore con una passione che può migliorare un processo della tua azienda, l’intraprendenza può darti la grinta che ti serve per proporti.

Spero che i giovani abbandonino la mentalità old style che vede il mondo del lavoro come qualcosa di statico, un traguardo da raggiungere e capiscano quanto sia fondamentale per adeguarsi al nuovo scenario lavorativo essere motivati e intraprendenti.

 

L’innovazione è l’evoluzione del vecchio mondo del lavoro, oramai obsoleto. Non un gioco per ragazzi nerd.

Ci sono due anime nelle aziende odierne: quella che fa innovazione e quella ancorata a vecchie concezioni del lavoro, senza le quali sarebbe difficile andare avanti, ma che hanno ragione di sussistere solo perché senza di esse non ci sarebbe stata l’evoluzione attuale. Del resto da bambini poi si diventa adulti.

Il fatto è che l’innovazione vista come evoluzione dovrebbe essere naturale, dovrebbe essere lo step successivo, quello più maturo, quello che lentamente abbandona le paure e le paturnie adolescenziali per fare posto ad un modus operandi più consapevole.

Invece in Italia abbiamo ancora questa visione ingenua dell’innovazione:  non è sinonimo di evoluzione, al contrario essa è sinonimo di giovane, startup, sperimentale. Mentre il vero lavoro è quello alla vecchia maniera, dove si timbra il cartellino e si aspetta che l’orario finisca per tornare a casa, e poi si aspetta il 27 del mese per la pagnotta. Poi tutto quello che è brio, adrenalina, eccitazione, resta fuori dalla porta dei nostri uffici; lo trovi nella vita personale, con gli amici, con i figli, i compagni, le mogli e i mariti. 

Costoro che lavorano seriamente, sono quelli che, quando gli parli di startup o innovazione, sorridono perché per loro sono dei giocattoli nuovi.  A parole sono promotori di ciò che è innovativo, ma con la testa pensano che di fatto sia una cosa che non fa parte del loro mondo. Se tutti l’avessero pensata così allora questi signori e queste signore non girerebbero oggi con gli smartphone, non avrebbero un profilo instagram, non acquisterebbero su Amazon e via discorrendo.

La mentalità è più forte di qualsiasi innovazione; quest’ultima richiede un grande sforzo, una revolution del proprio pensiero non indifferente; vuol dire mettersi in gioco, pensare al proprio lavoro come ad una sfida costante, adrenalinica, entusiasmante. Entrare in ufficio come i bambini quando entrano in gelateria, con gli occhi brillanti, perché chissà quale goduria ci aspetta.

Si, è un approccio al lavoro diverso. Ma è questo l’approccio vero, consapevole, maturo. L’approccio di chi il proprio lavoro lo guarda dal di dentro, ne vede le bellezze e le brutture e ci ragiona sopra per provvedere a risolverle, laddove può. 

Buona innovazione a tutti!