Se è facile da capire è facile da fare

Il nostro cervello ha due sistemi, il sistema veloce e quello lento. Il sistema veloce è quello più immediato ed istintivo, quello lento invece è quello più razionale. Nella maggior parte dei casi ci piace pensare che le nostre azioni sono frutto del sistema lento, razionale. In questo modo abbiamo la percezione di avere tutto sotto controllo. E invece, nulla più sbagliato. Il nostro cervello agisce in modalità risparmio e quindi per l’80% delle nostre azioni si affida al sistema veloce.

Il sistema veloce entra è quel meccanismo per il quale si può rispondere alla domanda “quanto fa 3 x 3” anche mentre si è impegnati a fare tutt’altro. Quello lento entra in gioco se ad esempio la domanda è “quanto fa 24 x 72”. Come ci accorgiamo che abbiamo messo in moto il sistema lento? Semplice, per dare una risposta dobbiamo interrompere ciò che stiamo facendo. E’ ciò che succede quando dobbiamo parcheggiare l’auto: spegniamo la radio che fino a qualche secondo prima avevamo ad alto volume, per concentrarci meglio sull’azione.

Capire questa differenza è di grande aiuto nella progettazione di ux writing perché ciò che dobbiamo evitare affinché l’utente compia l’azione che desideriamo è che sia costretto ad azionare il sistema lento. Se progettiamo un percorso di testi scritti che può fare ad occhi chiusi, mentre ascolta la radio, o fa altre cose, abbiamo raggiunto un grande obiettivo.

In che modo può agire lo ux writing? E qui entra in gioco il titolo di questo post: “Se è facile da capire è facile da fare.” Ovviamente siamo tutti consapevoli che non è sempre cosi, ma è un inganno del nostro cervello, per cui è propenso a dare fiducia a qualcosa che sia chiaro e lineare e non gli procura sforzo cognitivo ed attribuire a quell’azione percezioni positive.

Immaginiamo ad esempio un form per l’iscrizione ad una newsletter, nello specifico il campo email. Ipotizziamo due possibilità di testo per indicare all’utente la richiesta dell’email:

1. Si necessita l’inserimento del suo l’indirizzo email”

2. Inerisci email

Secondo voi quale delle due frasi mette in moto, a nostro rischio e pericolo, il sistema lento del nostro utente? La prima indubbiamente.

Ecco perché si preferiscono forme attive, frasi brevi. Sovraccaricare un testo di parole, utilizzando forme verbali passive, rende il dialogo con il nostro utente molto più difficoltoso e poiché come abbiamo detto, se è facile da capire è facile da fare, si corre il rischio di perdere la fiducia dell’utente nel buon esito dell’azione a lui richiesta.

Oltre al testo conta anche il font: utilizzare un font che richiede uno sforzo di lettura per comprendere le parole potrebbe far desistere l’utente dal continuare.

Avere cura del modo con cui esponi i tuoi concetti, descrivi i tuoi prodotti, istruisci gli utenti su ciò che devono fare per portare a termini una determinata azione, è fondamentale affinché i tuoi contenuti risultino di facile comprensione e quindi di facile esecuzione.

Penseresti mai di dover fornire il tuo codice fiscale per acquistare un biglietto del bus online? Lo UX Writing aiuta ad evitare errori come questi.

Lo UX Writing non è un solo una professione, è una forma mentis che chiunque scrive dovrebbe sviluppare, perché allena il cervello a produrre testi ragionati, allineati con il pensiero e la psicologia del nostro lettore o utente.

Lo UX Writing insieme al design sono i maggiordomi di un sito web, di un blog, di un’app che ti aprono le porte e ti invitano ad entrare, mostrandoti in modo chiaro il percorso che devi compiere per arrivare dove vuoi arrivare. Ti conducono per mano lungo quel percorso e alla fine senza che tu te ne accorga sei arrivato a destinazione, in pochi passaggi, in modo semplice senza troppo impegno da parte tua.

Riprendiamo l’immagine del maggiordomo che ti accoglie alla porta e ti indica il percorso da compiere. Può capitare che esso ti accolga dicendoti: “Ciao ospite sconosciuto! Prima di entrare mi dovresti darmi il tuo nome e cognome, data di nascita, indirizzo, codice fiscale, ecc…”

Tu pazientemente prendi tutti i documenti e ti accorgi che ti manca il codice fiscale. Il maggiordomo ti guarda dall’alto verso il basso e ti risponde: “Mi spiace ma se non mi dai il tuo codice fiscale io non ti posso far entrare.”

Tu torni a casa prendi il tuo codice fiscale e tutto contento ti presenti alla porta e lo consegni al maggiordomo, il quale come se non ti avesse mai visto prima ti dice: “Ciao ospite sconosciuto, prima di entrare mi dovresti dare il tuo nome e cognome, data di nascita, indirizzo, codice fiscale…”

La tua pazienza sta iniziando a diminuire ma sei ad un passo dal traguardo per cui gli fornisci di nuovo tutti i dati e finalmente entri. Una volta entrato ti trovi davanti a due cartelli con due frecce che indicano due direzioni diverse. Su uno c’è scritto “Entra”, sull’altro “Esci”. Nel mentre che stai decidendo ricevi una telefonata, rispondi e preso dalla conversazione, inavvertitamente imbocchi la direzione “Esci” e ti ritrovi di nuovo davanti al maggiordomo che con la sua solita compostezza ti richiede tutti i dati di prima.

Entri finalmente, imbocchi la direzione giusta e continui a camminare fino a che non ti trovi davanti a due stanze che hanno i seguenti cartelli: “News”, “News dal blog”.  Resti un attimo perplesso, poi decidi di imboccare la strada delle News. Ci sono solo notizie che parlano dell’azienda. Per cui decidi di tornare indietro  e di entrare nella stanza “News dal blog”.  Leggi un articolo sul prodotto che ti interessa e alla fine del post c’è un altro cartello che ti indica un’altra strada che porta la scritta: “Newsletter”. Incuriosito la percorri fino a che non ti vengono richiesti di nuovo i dati che ti ha chiesto già precedentemente il maggiordomo, con l’aggiunta dell’indirizzo email. Diligentemente fornisci tutti i tuoi dati.

Ti sembra tutto molto tortuoso giusto? Pensa che la maggior parte dei siti web richiede proprio questo sforzo cognitivo all’utente. Ecco perché lo UX Writing diventa fondamentale perché aiuta a snellire tutte queste procedure farraginose.

Un esempio pratico: penseresti mai di dover fornire il tuo codice fiscale per acquistare il biglietto di un autobus online? Certo che no? Eppure ci sono siti web turistici che richiedono anche questi dati per l’acquisto di un ticket.

Lo UX Writing dona equilibrio e logica alla parte testuale di siti web, app, form, newsletter ecc… In questo modo non si corre mai il rischio di chiedere all’utente uno sforzo maggiore rispetto alla ricompensa finale. Lo sforzo al contrario è proporzionato a ciò che stiamo dando in cambio al nostro utente.

Se l’utente vuole iscriversi ad una newsletter a noi occorre chiedergli solo l’indirizzo email. Se invece vuole acquistare un prodotto dobbiamo necessariamente chiedergli maggiori informazioni, quali l’indirizzo della sua abitazione, il numero della carta di credito, pena l’impossibilità di concludere il processo di acquisto.

Quando si parla di scrittura creativa non si pensa di certo allo ux writing. Non c’è niente di più sbagliato, creare un percorso ad hoc per i nostri utenti utilizzando testi brevi, mette in moto un grande processo creativo. Anche perché, non dimentichiamo, che anche i testi brevi sono rappresentativi del tono e della voce dell’azienda. Esprimere entrambi attraverso testi corposi, o vere e proprie narrazioni ha la propria difficoltà, ma il gioco si fa veramente duro quando tutto deve essere condensato in poche, semplici. parole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il mestiere del blogger: gestione di un nuovo cliente, conoscenza del prodotto e strategia di comunicazione

Non sempre i blogger hanno la fortuna di poter scrivere di ciò che conoscono a menadito e quindi cosa può fare un blogger quando gli viene commissionato di strutturare una strategia di comunicazione su un argomento/prodotto/servizio che non conosce?

Cosa devo fare quando mi viene commissionata la gestione di un blog su un prodotto/servizio che non conosco?

La fase della ricerca è fondamentale ma per un blogger ci sono degli ostacoli da superare. Innanzitutto la percezione del valore del blog da parte del committente. Nonostante si proclami oramai da anni che content is the king, il blogger si trova ancora a dover combattere contro i mulini a vento quando cerca di far capire in che modo va gestito il workflow della produzione dei contenuti. 

Nella maggior parte delle aziende l’opinione comune è quella che la fase della scrittura e quindi della creazione dei contenuti sia la più semplice. Cosa può mai servire ad un blogger? Un pc e la sua abilità creativa. È come se il cervello del blogger fosse un pozzo onnisciente, un cilindro magico da cui estrarre contenuti ad hoc all’occorrenza.

Mi è capitato infatti di dover trattare  argomenti difficilissimi abbandonata a me stessa, tra le quattro mura della mia location lavorativa senza poter chiedere una briciola di informazione a nessuno.

La fase della ricerca è quindi fondamentale e altrettanto complicata. Cerchiamo di capire cosa succede nella vita reale. Il primo step che devi fare anche se il più delle volte farai un buco nell’acqua è quello di rivolgerti al committente e chiedergli tutte le news che ha su quel determinato topic (prodotto/servizio che sia). 

Se lavori per un’agenzia il più delle volte ti rifila il leaflet dell’azienda, composto da al massimo un paio di paginette in cui sono sintetizzati al massimo i prodotti e i servizi. Se sei fortunato ti consegna una brochure di 24 pagine con una postilla: questa brochure è stata fatta dall’agenzia precedente e il proprietario dell’azienda non è molto soddisfatto perché i prodotti sono spiegati male. Bene! È come un cane che si morde la coda. E a te non resta che leggere quel materiale e poi fare di testa tua.

Se invece hai il contatto diretto con l’azienda di cui devi scrivere, fai attenzione al tuo referente, accertati che sia per l’azienda una fonte autorevole, in modo da non essere costretto a cambiare quello che hai scritto in base all’interlocutore aziendale che lo legge.

Fai tutte le domande che ti vengono in mente e osserva come viene descritto il prodotto dall’azienda, quali parole utilizza, i valori che intende trasmettere. Il tuo interesse deve rivolgersi non solo alle specifiche tecniche del prodotto ma anche ai vantaggi che si traggono dal suo utilizzo. Questi ultimi ti saranno utili per capire in che modo la gente può risolvere i propri problemi grazie a quei prodotti/servizi.

Dietro alla nascita di un’azienda ci sono storie interessanti che non riguardano solo il profitto e se riesci a venirne a conoscenza puoi creare degli ottimi testi per il tuo pubblico. Quindi poni l’attenzione sul perché, sul cosa e sui benefici.

Informati come se fossi un potenziale cliente, ti consentirà di metterti nei suoi panni e ad erogare testi che risulteranno utili.

Come ho anticipato la tua fase di ricerca iniziale dovrà essere su due fronti: interno e quindi a diretto contatto con il committente ed esterna ovvero le tue ricerche personali.

Per le seconde ci sono tre fattori che possono guidarti nella scelta della fonte giusta:

  • L’esperienza
  • Il passaparola
  • L’intervista

Partiamo con il primo, l’esperienza. Allena il tuo radar interiore ad intercettare la fonte giusta. Per fare questo hai bisogno di leggere, studiare. Dopo un po’ ti verrà facile capire quale fonte è attendibile e quale scartare. Di solito una fonte attendibile è quella che non ha solo teoria ma analizza esempi concreti.

Il secondo punto è ciò che dicono i forum e le social community su prodotti e servizi simili. Di solito questi luoghi virtuali ti aiutano a capire le domande che delle persone non competenti e ad analizzare le risposte degli esperti. In questo modo ti puoi rendere conto dei dubbi dei potenziali clienti e puoi strutturare i tuoi articoli come risposta ad essi.

Infine l’intervista con l’esperto del settore ti aiuta a sviscerare l’argomento, eliminando eventuali dubbi. Puoi richiedere l’intervista direttamente al ceo dell’azienda o a chi per esso. In questo modo potrai renderti conto di come “sentono” l’azienda, i prodotti e che tipo di rapporto instaurano con i clienti.

Dopo la fase della ricerca e quindi dopo essere arrivato ad un punto in cui padroneggi l’argomento, prima di procedere con i tuoi post devi porti e porre ancora alcune domande.  

Come agisco se la strategia di comunicazione attuata fino ad ora dall’azienda non è efficace, ma l’azienda non ne è consapevole?

Innanzitutto devi chiarire con l’azienda quali obiettivi intende raggiungere con il blog, capire quali sono stati raggiunti fino ad ora e se è il caso di continuare il lavoro fatto in precedenza o proporre una strategia nuova.

Può capitare che l’azienda, ignara di come si imposti la strategia di comunicazione di un blog, reputi che il lavoro svolto fino a quel momento abbia bisogno solo di qualche modifica. 

Purtroppo tu visionando il materiale non sei assolutamente d’accordo e pensi invece che ci sia bisogno di un cambiamento radicale per una serie di motivi:

  • Non è in linea con la buyer persona
  • Non rispecchia il customer journey
  • Non è in linea con gli obiettivi aziendali
  • Non è assolutamente accettabile come comunicazione di un blog.

In questo caso dovrai armarti di santa pazienza e illuminare i tuoi interlocutori sulla necessità di lavorare ancor prima che sui testi, sull’ analisi dei propri lettori e quindi potenziali clienti.

Anche quando lavori in un’agenzia e sviluppi le tue attività di blogging in autonomia dovrai chiarire a chi ha il contatto diretto con l’azienda l’esigenza di un cambiamento della strategia di comunicazione. 

Presenta la tua strategia di comunicazione per il blog aziendale affrontando i seguenti punti:

  • L’analisi della buyer persona
  • L’analisi del customer journey
  • Smart goal che si intendono raggiungere
  • Analisi delle keywords
  • Piano editoriale

Il tuo interlocutore deve capire che gestire un blog non si riduce alla semplice stesura di articoletti più o meno creativi, ma è una vera e propria strategia che si articola su analisi ben precise. In questo modo riuscirai a dare valore al tuo lavoro e illuminerai il tuo cliente sulle potenzialità di un blog.

Conclusioni

Come puoi ben vedere il lavoro da blogger non si riduce allo stare seduto ad una scrivania e partorire testi creativi per un’azienda. Il blogger sviluppa una strategia di comunicazione, in base ai risultati delle sue ricerche, al posizionamento dell’azienda sul mercato e agli obiettivi che vuole raggiungere.

Come creare un Case Study grazie al quale puoi raccontare ciò che fai per i tuoi clienti

 

Case Study – Business Concept

 

Il Case Study ha lo scopo di far conoscere ai tuoi prospect quanto il tuo intervento sia stato significativo per risolvere i problemi dei tuoi clienti.  Si tratta di una tipologia di contenuto che ha più valenza informativa ed educativa e meno di vendita.  Attraverso questa storia racconti ai tuoi lettori, potenziali clienti, quali benefici possano trarre chiedendo aiuto alla tua azienda. La parola “storia” non è buttata li a caso, in quanto la struttura del tuo case study è uguale a quello dello storytelling: c’è un eroe che deve superare delle sfide per uscirne vittorioso.

Vediamo nel dettaglio come strutturare un case stady.

Il primo step da fare è quello della ricerca. Senza di essa non vai da nessuna parte e corri il rischio di scrivere un contenuto troppo breve e privo di dettagli significativi. Ecco perché non devi assolutamente trascurare la fase della ricerca, durante la quale sarà fondamentale per te intervistare le persone chiave della storia.

Immagina di dover scrivere un case study che parla di una struttura di coworking e di come abbia aiutato una SPA nel processo di internazionalizzazione.

A meno che tu non sia già un esperto della materia, ancora prima della ricerca dovresti  studiare cosa sono coworking e processo di internazionalizzazione di impresa e poi in un secondo momento puoi concentrarti  sull’azienda cliente, attraverso un’intervista diretta al CEO.

La ricerca è ciò che ti consente di fare scorta di dettagli che ti saranno poi utili durante la stesura del tuo case study.  Sebbene si tratti di business non deve annoiare. Ecco perché lo storytelling è fondamentale.

Passi falsi da evitare

Il primo passo falso da evitare è quello di far diventare il tuo case study una tesina accademica.

Il secondo passo falso sempre da evitare è quello di non inserire nessuna immagine al suo interno. Proprio perché il tuo case study  potrebbe essere abbastanza lungo, intervallare il contenuto testuale con quello visual può essere una buona soluzione.

Struttura del Case Study

Ho letto di recente il libro, The Copywriting sourcebook, ed ho trovato estremamente utile il tipo di struttura proposta per il case study. Te la ripropongo con qualche esempio.

    1. Headline 

L’HEADLINE è fondamentale in quanto ha il compito di indicare al lettore la sfida che il tuo cliente è riuscito a superare grazie all’aiuto della tua tua azienda.

“Come abbiamo agevolato l’internazionalizzazione d’impresa dell’azienda YYY SPA con la nostra struttura di coworking”.

Immagina di aver aiutato ad aumentare le conversioni del 20%  in 6 mesi di un e-commerce che vende prodotti vegani grazie ad un content marketing strutturato. La tua headline potrebbe essere:

“Aumentate le conversioni del 20% in soli sei mesi costruendo un piano editoriale efficace per il blog dell’ e-commerce” VeganShop”.

  2. Piramide Inversa: il topic principale all’inizio

Nel paragrafo introduttivo seguendo la regola giornalistica delle 4 W (who, what, where, when), racconti la storia in sintesi, diciamo che presenti al lettore lo scheletro della storia.

“L’azienda YYY SPA si è rivolta alla nostra struttura di coworking per iniziare un processo di internazionalizzazione.  La scelta tra le varie opzioni è ricaduta sul nostro pacchetto gold che oltre ai servizi di Temporary office comprende anche una lista di contatti con le aziende del posto, con potenziali collaboratori e futuri stakeholder. L’offerta comprende anche la possibilità di allestire fiere all’interno del nostro coworking durante le quali presentate i propri prodotti. Nel giro di un anno YYY SPA è diventato uno dei principali player del nostro territorio nel settore delle ceramiche.”

   3. Racconta la sfida che il tuo cliente deve affrontare 

Nella prima sezione puoi esporre la sfida che deve affrontare il cliente.  Nel nostro caso la sfida principale è caratterizzata da due componenti: non avere contatti e non avere una sede definitiva in loco, dal momento che non si vuole correre il rischio di investire in soluzioni molto dispendiose.

Il coworking è la soluzione ideale per l’azienda YYY SPA in quanto offre la possibilità di una sede temporanea e non molto impegnativa dal punto di vista economico.

   4. Quali Benefici offri al tuo cliente?

In questa sezione devi inserire i benefici che  nel nostro caso il coworking assicura alla SPA nel suo processo di internazionalizzazione:

– ufficio temporaneo in loco a costi vantaggiosi

– accesso alla lista di contatti locali (fornitori, collaboratori)

– la possibilità di allestire fiere per presentare il proprio prodotto.

   5. Storytelling

È arrivato il momento di raccontare una storia accattivante per il lettore. In questa sezione puoi dare ampio spazio ai dettagli più interessanti, ai retroscena, ai colpi di scena. Puoi mettere in atto una strategia accurata di storytelling. In questa sezione puoi dare voce al cliente come testimonials, i benefici che ha ottenuto e in quale area del business o del mercato. Puoi aggiungere una sua citazione.

  6. Non è finita qui

Nel caso in cui la collaborazione con il cliente continui e ci siano altri sviluppi puoi inserirlo in questa sezione.

Puoi concludere con una CTA che induca l’utente a restare in contatto. L’invito può riguardare la visualizzazione di un altro case study oppure una consulenza gratuita del business di 30 minuti. Sono tutti validi motivi per mantenere un contatto.

Conclusioni

Il case study è un contenuto importante per un’azienda, consente di mostrare ai potenziali clienti ciò che può fare per loro, quali risultati può aiutarli a raggiungere.

Come strutturare i contenuti: la definizione dell’ambito

Sto studiando con grande interesse come creare modelli per i contenuti, ovvero dare loro una struttura che li renda riusabili nel tempo. Dopo anni in cui mi sono dedicata all’applicazione della scrittura creativa e dello storytelling nell’ambito della comunicazione, quindi al contenuto vero e proprio, ho trovato interessante concentrare la mia attenzione sull’argomento che riguarda la progettazione di un modello dei contenuti, ovvero quel procedimento che è a monte della realizzazione vera e proprio dei contenuti.

In qualche articolo fa ho affrontato il tema della ricerca, di quanto essa sia fondamentale per chi vuole creare un modello del contenuto. Oggi parlerò della definizione dell’ambito.  Da blogger con formazione umanistica devo ammettere la mia difficoltà iniziale ad entrare in sintonia con questo modo di trattare il contenuto, direi quasi ingegneristico. Ho letto e riletto più volte alcuni passaggi di articoli e libri che trattavano l’argomento ed ho provato ad esercitarmi per capire fino in fondo le azioni da intraprendere.

Il primo passo verso quello che chiamo l‘ingegneria dei contenuti è la capacità di astrazione e semplificazione. Noi che scriviamo siamo letteralmente dalla parte opposta di questo processo, facciamo parte della categoria di quelli che vanno a scovare l’aggettivo più indicato, il verbo che rende meglio il nostro concetto e allo stesso tempo liberiamo le parole per dare loro un senso diverso, giochiamo con le parole per scoprire nuovi significati. Per poter fare questo, dilettarci con virtuosismi linguistici, dare vita a narrazioni coinvolgenti, dobbiamo ringraziare chi prima di noi ha architettato la struttura che ospita i nostri contenuti, ha ragionato sulla posizione all’interno del sito web che quel determinato argomento dovesse avere, perché di maggiore utilità dell’utente, ha progettato attentamente ogni passaggio che l’utente deve compiere affinché possa trovare le nostre preziose parole, ha cercato di rendere tutto il percorso facile, agevole, affinché non ci fossero barriere tra l’utente e il contenuto partorito da noi blogger, copywriter.

Ed è proprio a voi, blogger e copy, che ora voglio rivolgere una domanda: vi siete mai chiesti come mai il vostro pezzo fosse posizionato proprio in quella determinata sezione? Oppure come mai per quella azienda gli argomenti da trattare fossero proprio quelli e non altri?

Chi fa il content manager e si occupa del piano editoriale una risposta ce l’ha già. Prima di partorire quel determinato PED ha ragionato insieme all’azienda, ha effettuato la sua ricerca per parole chiave, ha analizzato il customer journey e creato la sua buyer persona. Ma al suo lavoro per quanto completo sia, manca di un pezzo, ovvero la progettazione di contenuti che non sono destinati solo all’uso attuale per il quale sono stati commissionati, ma avranno una vita indipendente e potranno essere utilizzati anche in futuro per interfacce  e device non ancora esistenti.

Tutto questo è possibile farlo grazie alla creazione di modelli di contenuti. Tali modelli rendono i contenuti liberi di adattarsi a qualsiasi interfaccia o dispositivo del futuro e consentiranno all’azienda di poter modificare i contenuti senza costi aggiuntivi.

E qui veniamo all’argomento di quest’articolo, la definizione dell’ambito.

La definizione dell’ambito non è altro che la connessione tra oggetti che fanno parte dell’argomento di cui si sta parlando. Dopo la fase della ricerca in cui hai raccolto informazioni sufficienti puoi stilare il tuo elenco con i termini che riguardano quell’ambito. E poi sei pronto per creare le connessioni più adatte a definire l’ambito.

A questo proposito ti ripropongo una parte dell’esempio che ho trovato molto utile all’interno del libro “Connected content -Modelli, struttura e contenuti per i prodotti digitali di oggi e domani” di Mike Atherton e Carrie Hane. L’ambito da loro esplorato è la conferenza IA Summit

Gli oggetti individuati all’interno di questo ambito dai due autori sono i seguenti:

  • persona
  • sessione
  • evento
  • sede

Perché proprio questi termini e non altri? Utilizzare termini troppo specifici come “laboratorio” o “lezione” invece di “sessione” avrebbe creato struttura rigida, con scarsa facilità di adattamento, e di modifica, cose che invece è lo scopo primario del modello. Quando si crea un modello si tende all’astrazione e alla semplificazione affinché esso possa essere riutilizzato anche in seguito quando i contenuti dell’argomento saranno aumentati o diversi.

Lo step successivo è quello di creare una relazione significativa tra questi due elementi attraverso la definizione di cosa fa una persona ad una sessione:

In questo modo hai spiegato perché Persona è legata a Sessione. E così puoi continuare con gli altri oggetti: evento e sede.

Per creare dei modelli efficaci devi porti una serie di domande:

  1. Gli oggetti del modello possono essere riutilizzati? Ovvero la semplificazione è tale che mi consente di aggiungere nuovi contenuti senza dover stravolgere la struttura?
  2. L’oggetto se inserito ad esempio all’interno di un’interfaccia web richiede una rappresentazione specifica, ovvero una pagina dedicata?
  3. I termini utilizzati sono quelli giusti? Ci sono termini troppo tecnici che potrebbero essere resi in un linguaggio più comune?
  4. Hai semplificato troppo? La semplificazione può essere un’arma a doppio taglio. Analizza tutto il materiale che hai raccolto e cerca di capire se hai omesso qualcosa di importante nel tuo modello.

Il modello dell’ambito ti consentirà di creare una mappatura degli argomenti scelti e ti consentirà di adeguarla nel tempo quando essi cresceranno o cambieranno.