Anatomia di un imprenditore alle prese con personal branding offline, newtork reale e la sindrome dell’impostore

Voglio dedicare quest’articolo dal mood estivo a quei manager, imprenditori, liberi professionisti, che operano nel mondo della comunicazione e del digital che non si sono costruiti un personaggio da guru sul web, non sono impegnati in un personal branding online pressante, non presenziano costantemente i social network; tuttavia essi esistono, lavorano duramente, hanno un curriculum vitae di tutto rispetto, esperienze comprovate. In poche parole sono in gamba!

Sono quelli che durante le ferie, finalmente un po’ più liberi, corrono in libreria ad acquistare libri su quelle competenze in cui si sentono ancora mancanti, per risolvere quelle problematiche che hanno riscontrato durante l’anno lavorativo. Oppure in alternativa acquistano su Amazon libri che sono stati scritti solo negli USA perché quelle materie di studio in Italia non sono ancora state sviluppate.

Queste persone si sentono sempre mancanti, nonostante la loro comprovata bravura, si misurano sempre con chi ne sa più di loro, con chi è arrivato prima di loro e sono fortemente ancorati a quella che è la realtà del loro mondo professionale e non con la virtualità.

Sono inevitabilmente affetti dalla sindrome dell’impostore, che in loro funge da leva per l’accrescimento costante della propria professionalità, in quanto il fatto di sentirsi sempre mancanti di qualche nozione, competenza, informazione, li spinge a studiare, cercare, confrontarsi.

Sono quelli che hanno come medaglia al valore “i clienti storici”, e non credo che oggi sia da tutti riuscire a mantenere dei clienti nel corso degli anni. Sono quelli che innescano il circolo virtuoso di un’economia relazionale, dove ciò che conta sono i rapporti umani, esserci per i propri clienti costantemente, quando ne hanno bisogno, educarli nelle lunghissime riunioni a cui partecipano, far percepire al cliente che ciò che gli stanno proponendo gli può essere davvero utile.

Sono quelli che nel loro contesto lavorativo sono chiamati costantemente dai colleghi e collaboratori per avere un consiglio e che non si tirano mai indietro, sanno fare networking perché non amano il ruolo da prima donna e in una community reale hanno follower e condivisioni. Sebbene tutto questo sembri un po’ preistorico è qualcosa che esiste ed esisterà sempre, perché è realtà, quotidianità. E’ il personal branding offline, stancante e faticoso. Esso implica una costante capacità di confrontarsi con il pensiero altrui, di creare un rapporto di fiducia.

Tuttavia quando chiedi loro: “Perché non fai anche tu personal branding? Apri un blog, posti su LinkedIn?” Loro con grande umiltà e rammarico ti rispondono: “E’ vero, dovrei farlo, ma a volte stare dietro ai clienti, ai lavori, non mi dà il tempo di fare altro.” Il loro telefono nel frattempo squilla, ti chiedono educatamente scusa mentre li vedi già con lo sguardo altrove, con un sorriso accogliente sul volto, pronti ad immergersi in un’altra lunghissima sessione con un altro cliente, totalmente concentrati su di lui.

Buon proseguimento di vacanze a tutti…

I social media, l’occasione per le aziende di donarsi al pubblico e conquistare riconoscibilità

 

Faccio una premessa: in quanto blogger in ambito marketing e comunicazione mi imbatto spesso nello studio dei canali social, dal tipo di comunicazione alla gestione dei profili social aziendali. Per cui dopo un po’ di cose lette e scritte mi sono fatta una mia idea personale: messi da parte i grandi brand tutto il resto sembra un’accozzaglia di immagini buttate un po’ lì a caso, dove, nella migliore delle ipotesi, la riconoscibilità di quel brand è affidata esclusivamente al logo e tutto il resto del lavoro è caratterizzato da testi chilometrici abbinati ad immagini per lo più scadenti, o, se professionali, slegate l’una dall’altra.

Sono pochissime le pagine aziendali che mi colpiscono, su cui ritorno volentieri indipendentemente dal fatto che mi possano essere utili o meno. Quando ne becco una mi animo, mi piace vedere come ogni sua componente, visiva e testuale, sia perfettamente integrata. Mi piace la sensazione che provo nel visitare quel profilo, il messaggio che mi trasmettono.

L’altro giorno ad esempio mi sono imbattuta in una pagina social di una personal coach. Ho seguito, come capita sempre sui social, il like di un mio amico su facebook e anche se non ne avessi bisogno (non sto cercando un personal coach), ho visitato la pagina.

I colori tenui, rilassanti, le immagini con persone dai volti sorridenti, le frasi motivazionali, non scontate, non di quelle che puoi trovare ovunque, tutto questo ha sortito su di me un effetto positivo e mi sono immedesimata un po’ nel racconto di quella pagina.

Oggi mi è ricomparsa nel mio newsfeed e mi sono ricordata di quella sensazione e non ho potuto resistere alla tentazione di entrare di nuovo in quel mondo alla ricerca di qualcosa che potesse ispirarmi e migliorare la mia giornata.

Non è un brand famoso, ma ha uno stile suo personale, riconoscibile. E questo mi piace. Si vede che ogni contenuto è studiato, non è buttato lì a caso e ciò che mi piace è che non è mai scontato. Ce ne sono tantissimi di coach con le solite frasi motivazionali che alla fine stancano e fanno anche un po’ ridere. Esserci in maniera differente, con una propria unicità, con un proprio stile, un proprio racconto, diverso da quello degli altri. E’ questo ciò che rende riconoscibile un brand sui canali social.

Sono curiosa per natura, per questo amo lo storytelling, l’arte di creare universi narrativi coinvolgenti al punto tale da farti sentire parte integrante di essi se non addirittura il protagonista.

E mi piacciono le aziende che fanno questo sui canali social, che creano mondi in cui tu puoi entrare gratuitamente (è questo il bello dei social!) e puoi uscirne arricchito. Esperienze brevi ma intense, sono queste quelle che dovremmo sperimentare sui social. Esperienze che rendono le aziende riconoscibili e invitano l’utente a ritornarci, come si fa con gli amici a cui si è più legati: si ritorna da loro per riprovare quella sensazione di accoglienza e di affetto che solo loro possono darci.

I canali social se gestiti  in maniera professionale possono contribuire a creare relazioni coinvolgenti con gli utenti e clienti. Tutto questo è paragonabile quasi ad un donarsi, e per le aziende può davvero fare la differenza: un dono, quello della loro unicità che verrà ricambiato con la fedeltà nel tempo da parte dei clienti.